Primo Maggio: la rabbia tra le grida by Valentina Camac

E’ la prima volta che scendo in piazza per il Primo Maggio.

Sono le dieci del mattino, il centro di Modena è ancora abbastanza tranquillo, e mentre cammino verso Piazza Grande sento l’emozione salire: mi immagino di trovare tantissima gente.

Appena arrivo, però, le mie aspettative vengono immediatamente deluse. Un gruppo non troppo grande di persone, riunito davanti ad un piccolo palco  –età media: 60 anni- sventola distrattamente varie bandiere, da quelle del PDI e della Cgil a quelle con Falce e Martello e con Che Guevara. Ci sono pochissimi giovani, si contano su una mano.

Penso che magari è ancora presto, che bisogna aspettare ancora. Sono molto paziente, ma dopo mezz’ora la piazza è piena a malapena per metà. Dal palco parte, solenne, l’inno di Mameli. Sono pochi quelli che muovono le labbra per cantarlo, ma almeno l’attenzione della gente è stata attirata. Le bandiere cominciano a sventolare più forte, si alzano cartelloni rabbiosi: frasi come “Padrone cacciatore non avrai le nostre teste” e “Sindacati al servizio dei Padroni? NO GRAZIE!” vengono sorrette con forza. Quando l’inno si interrompe un uomo si avvicina al microfono sul palco, e comincia a parlare.

Un gruppo, costituito da Rifondazione, studenti ed alcuni lavoratori (circa un terzo rispetto ai partecipanti) comincia ad agitarsi, a fischiare, ad urlare. All’inizio sono un po’ spaesata, poi mi rendo conto che tutta la loro rabbia, che si manifesta con sempre maggiore decisione, è rivolta all’uomo che sta parlando: Francesco Falcone, segretario generale della Cisl modenese.

Mentre lui inizia il suo discorso, il gruppo comincia ad urlare slogan e a ripetere parole come “venduto” e “fuori”. I fischi non si arrestano, le urla continuano imperterrite per tutta la durata del suo intervento. Lui prova ad ignorare gli insulti, va avanti, la voce ogni tanto vacilla, ma è perché si sta sforzando quanto più possibile di sovrastare le urla dei manifestanti. Mi avvicino al palco per guardarlo in viso: il discorso che sta pronunciando è scritto su un plico di fogli che tiene in mano, ogni tanto guarda la folla, cerca di trarre forza dalle prime file, che lo ascoltano sembrando sinceramente interessate. Dopotutto le sue parole sono cariche di ideali, di propositi, di idee. Ma mi chiedo, ha senso parlare di libertà, giustizia e democrazia alla luce delle attuali condizioni lavorative?

“Il nostro è un sindacato forte, libero e democratico. Non tolleriamo i comportamenti mafiosi, e combatteremo l’illegalità con tutte le nostre forze. Quello che noi vogliamo è uguaglianza, un futuro diverso e migliore per le nostre famiglie…”

“SINDACATO DELL’IPOCRISIA, CHE SOSTIENE LA FIAT E MARCHIONNE!!!”

“…E’ necessario, per ottenerle, avere una consapevolezza politica, sociale ed economica…”

“IL DIRITTO AL LAVORO CE LO STANNO MANGIANDO!!!”

“…Non bisogna mai vedere nero, in fondo c’è sempre una luce, e noi possiamo raggiungerla!”

“IPOCRITI! BUGIARDI!”

Belle parole. Sentire parlare di maggiori opportunità, di diritti che nessuno ci può negare e che dobbiamo far valere ad ogni costo, di speranza per il futuro e di interesse da parte dei giovani, e in particolare di unità tra i vari sindacati… Questo sì che è un discorso. Ma le sue parole sono come un sogno, e la sveglia, alle mie spalle, sta suonando con violenza per portarmi prepotentemente alla realtà. E la realtà è che l’unità tra i sindacati non esiste, e che sempre meno stanno facendo il loro mestiere, ossia tutelare i diritti dei lavoratori.

La parte peggiore della realtà è come questa giornata viene vissuta dai cittadini. Non c’è la soddisfazione di festeggiare la conquista dei diritti dei lavoratori, o sottolineare l’importanza del lavoro. Credevo che avrei trovato persone unite dal senso di speranza e di orgoglio, ma quello che ho visto nella gente è stata solo rabbia e delusione. Le parole di Modena si sono riversate sulle mie ingenue idealizzazioni con una brutale sincerità.

-“Vivo male questo Primo Maggio. Male perché vorrei far parte di un sindacato unito, mentre ogni giorno continua a perdere le forze. Io ho un lavoro sicuro, ma tantissimi altri che non sono nelle mie condizioni sono privi di speranza, perché le prospettive che ci offrono sono sempre meno. Ormai questa giornata sta perdendo di significato, con gli anni ha cominciato ad essere festeggiata per inerzia, perché il lavoro veniva dato per scontato. Solo adesso ci stiamo rendendo conto che non è così.”, dice la signora che urlava “vergogna” a Falcone.

“Sto vivendo con grande dispiacere questo Primo Maggio, perché vedo che i sindacati sono contro di noi. Io non approvo le contestazioni di questo tipo, ma la mia posizione in questo momento è molto negativa: quando ci sono le assemblee  dei lavoratori non manco mai di intervenire con le mie critiche. Purtroppo credo che i sindacati in questo momento non siano all’altezza di affrontare questo governo, sono supini e sottomessi. Napolitano ha fatto un discorso per esortare l’unità tra i sindacati, ma questa unità non la vedo. Oggi sinceramente in piazza mi aspettavo molto più persone, considerata la crisi e la disoccupazioni, in particolare dei più giovani. Invece vedo che questa giornata è quasi interamente rappresentata dagli anziani.”, dice l’assessore comunale delle politiche giovanili.

“Io sono tra coloro che hanno organizzato le contestazioni contro Cisl e Uil, che non vogliono far altro che spodestare la Cgil. Loro stanno agendo sulla pelle dei nostri diritti, attaccando direttamente i diritti di malattia, smantellando lo statuto dei lavoratori, come il diritto allo sciopero. Questo è un diritto che i nostri genitori e i nostri nonni hanno conquistato duramente, e dopo anni vediamo togliercelo con due semplici firme: noi non ci stiamo.”, dice lo studente disoccupato di Lettere in Movimento.

“Sto vivendo molto male questo Primo Maggio. Non per l’idea della festa, ma per tutto quello che sta succedendo, per la situazione che ci circonda e sembra non cambiare. E’ un momento molto critico.”

“Però nonostante questo, continua a scendere in piazza”

“Assolutamente. La Piazza è la Parola, è il luogo dove possiamo portare tutti i nostri sentimenti, dove possiamo far sentire la rabbia. Bisogna che le persone tornino a scendere in piazza, bisogna che si informi come si deve: le persone hanno perso la coscienza. Noi dobbiamo continuare a far sentire la nostra rabbia, perché le condizioni in fabbrica sono sempre più dure, non ci sono garanzie di sicurezza, e non possiamo cedere ad altri ricatti, come a Pomigliano e a Mirafiori.”

Il fallito discorso di Falcone, ormai terminato, è seguito nuovamente dall’Inno di Mameli e da pochi applausi. Viene presentato Frankie HI-NRG MC, uno dei maggiori esponenti del movimento hip hop italiano che conclude il magro evento della mattinata. Le persone cominciano a disperdersi, e nel giro di un’ora la piazza è semivuota, mentre il palco e le bandiere sono stati sistemati frettolosamente. Io sento un po’ di vuoto dentro.

Mi aspettavo davvero entusiasmo e partecipazione, mi aspettavo che la giornata del Primo Maggio venisse vissuta veramente dalla città, sia con la testa che col cuore. Mi aspettavo di vedere fiumi di persone pronte a festeggiare e a ricordare, con la volontà di migliorare il presente, e invece ciò che ho visto è stata circostanza, mera presenza fisica, spaccature interne, rabbia -una valanga di rabbia- e quella speranza che pensavo, ormai appassita o comunque avvelenata dalle accuse e dalla sfiducia.

E dal momento che gli enti che dovrebbero rappresentare i lavoratori pare abbiano dimenticato la loro ragion d’essere, come possono i cittadini ritrovare il vero significato di questo Primo Maggio?

Valentina Camac

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