CERAMICA COOP IMOLA, SPERANZA PER IL PAESE By MARIO ZACCHERINI

La notizia è veramente importante e getta una luce diversa sulla crisi della ceramica, in particolate la Ceramica Cooperativa di Imola: il gruppo Del Conca Ceramiche ha deciso di investire la bella cifra di 30 milioni di dollari nella costruzione di un nuovo impianto per produrre piastrelle.

Questo investimento dimostra come il comparto ceramico sia vivo e continui a svilupparsi a livello mondiale sia presso le economie emergenti che le classiche come gli Stati Uniti.

Il gruppo italiano ha sfatato, grazie a questo corposo investimento, due luoghi comuni molto cari alla nostra politica: 1) il mondo è in crisi e l’Italia con esso 2) nei paesi emergenti il costo del lavoro basso impedisce una “leale” concorrenza tra vecchie e nuove economie.

Il grafico cliccabile dimostra come, almeno per il comparto ceramico, la situazione sia esattamente opposta alla descrizione del mondo in crisi. La ceramica, a livello mondiale, sta conoscendo un boom che ha portato, tra il 2005 ed il 2012, ad un incremento del 60% della produzione mentre, nello stesso periodo il made in Italy ha conosciuto una contrazione del 35% a livello produttivo. Questi numeri donano una prima cruda istantanea, ovvero in un mercato in costante espansione l’azienda Italia non solo non cresce (già questo sarebbe grave), ma addirittura tende lentamente ad esserne espulsa.

Il mondo politico dovrebbe, già da anni, essersi posto il problema sintetizzabile in una semplice domanda: PERCHE’?

Evidentemente si è preferito utilizzare la scorciatoia della globalizzazione, del costo della manodopera elevato in Italia, del mercato del lavoro rigido e delle stagioni che non sono più quelle di una volta. Insomma un processo inevitabile ed ineludibile all’interno del quale la politica non può governare e/o dare indirizzi per risollevare il made in Italy.

In realtà il Governo Monti, sostenuto da Pd e Pdl, una risposta l’ha trovata attivando e velocizzando le procedure di licenziamento, linea che anche l’attuale Governo Pdl-Pd non ha ritenuto di invertire. L’investimento Del Conca dimostra l’esatto contrario: nel settore ceramico un’azienda italiana può svilupparsi in un paese occidentale dove, bene o male, la sicurezza, democrazia e, più in generale, le tutele nel mondo del lavoro non sono le chimere presenti in Cina e altri paesi asiatici.

A questo punto la domanda vera diventa: perché un’azienda italiana investe 30 milioni di dollari negli Stati Uniti e non in Italia? Sicuramente avere dei siti produttivi, dove il mercato si sta sviluppando, aiuta ad avere una penetrazione approfondita, certamente si riducono fortemente i costi di trasporti, però occorrono ragioni più profonde per convincere un imprenditore a firmare un assegno così importante. In fondo parliamo di un prodotto “povero” dove il costo industriale è il risultato della somma dei costi della materia prima, della manodopera e dell’energia.

Sulla manodopera Bankitalia nei giorni scorsi ha sottolineato come, oltre ad essere tra le più basse in ambito Ue, sia probabilmente l’ultimo dei problemi. Il lavoratore percepisce circa il 30% in meno rispetto al collega tedesco ed ancor di più rispetto ai lavoratori francesi.

www.linkiesta.it/costo-lavoro-italia-europa

Apparentemente, se ci limitiamo al puro costo del lavoro, l’Italia sarebbe un paese appetibile da parte degli investitori interni ed esterni, però l’esperienza Del Conca su tutte insegna che non è così.

Sul prodotto finito, tornando al comparto ceramico, il costo del lavoro incide attorno al 30% e è, come scritto, è tra i più bassi riferito ad i paesi “avanzati”. In sostanza se il prodotto italiano dovesse competere solo inserendo nei costi la materia prima e lo stipendio/salario dei lavoratori, sarebbe estremamente competitivo.

Purtroppo esistono altre variabili che “uccidono”, anno dopo anno, la competitività del made in Italy.

L’imprenditore italiano parte, rispetto alle concorrenze staunitenti, tedesche, francesi ecc in vantaggio perché retribuisce mediamente del 30% in meno i lavoratori, per poi trovarsi alle prese con lo Stato italiano e, a questo punto, il vantaggio iniziale si trasforma in una lunga agonia di tasse, costi della burocrazia, costi dei trasporti e costi dell’energia che uccide la competitività iniziale.

Per quanto possa apparire assurdo viviamo in un paese dove la politica (lo Stato) invece di risolvere parte dei problemi principali del lavoro, volge lo sguardo da altra parte sperando che nuove alchimie introdotte nel mercato del lavoro possano lenire o risolvere del tutto la crisi del paese. Si discute per mesi sulla forma del lavoro senza mai affrontare la sostanza che, nel caso della ceramica, si presenta in maniera del tutto evidente.

La ceramica è, da questo punto di vista, la migliore fotografia dei paradossi italiani.

Eravamo rimasti al costo del lavoro basso, ma a valle emerge subito un problema: i costi di trasporto, causa combustibile e rete viaria migliorabile, sono nettamente superiori ai competitors europei. Coma evidenziato dal link di seguito il prezzo del gasolio italiano è nettamente superiore alla media europea. Come riporta testualmente l’artico di Repubblica “Sulla stessa lunghezza d’onda il diesel con il prezzo più alto d’Europa (1,624 euro al litro) e più caro di 0,228 euro rispetto alla media del Vecchio continente. In ambito fiscale registriamo il record europeo sia quando prendiamo come riferimento il peso delle tasse in termini assoluti sia quando analizziamo l’incidenza delle tasse sul prezzo alla pompa. Nel primo caso, su ogni litro che versiamo nel serbatoio della nostra autovettura paghiamo all’erario 0,899 euro (+0,244 euro rispetto media area euro), nel secondo caso, invece, l’incidenza delle tasse sul prezzo alla pompa è pari al 55,4%, ben 8,5 punti in più della media dei paesi presi in esame.”

www.repubblica.it/economia/2013/07/14/news/benzina_italia_tasse-62974001/

E’ evidente che parte dei costi risparmiati, in mancato reddito ai lavoratori, vengono dirottati verso lo Stato in maniera molto pesante. Una parte di competitività viene, spiacerà alla Fornero e a Marchionne, erosa dallo Stato e non certo dai lavoratori o sindacati. Ma non è finita…….

Abbiamo un problema anche a monte, ancora più grave. Il settore ceramico è detto energivoro in quanto fortissimo consumatore di energia (come le acciaierie, il settore cartaceo, quello del vetro ecc). Per dare un’immagine è sufficiente dire che l’energia impatta per circa il 30% sul costo finale. Per rispondere alla crisi molte aziende negli ultimi anni hanno, e stanno, cercando di aumentare l’offerta qualitativa passando dalla monocottura al porcellanato, passaggio che aumenta il consumo energetico.

Se gli industriali hanno investito ci si aspetta che anche la politica (lo Stato) faccia la sua parte, se non aiutando almeno non osteggiando chi ancora coraggiosamente punta sul lavoro italiano. Banale, scontato forse ovvio, ma di certo disatteso.

Appello di Confindustria al Governo (Novembre 2012)

Appello del settore Ceramica: meno costi d’energia

Da Sassuolo il presidente di Confindustria-Ceramica, Franco Manfredini, invita l’Esecutivo a varare una norma per ridurre il costo dell’energia che grava su cittadini e imprese. Nel suffragare la propria proposta Manfredini sottolinea che “mentre il puro costo dell’energia in un anno cresce del 13%, già una enormità per i tempi di crisi generale in cui ci troviamo, dove i prezzi dell’energia sono in calo in tutto il mondo, la voce denominata dispacciamento è addirittura cresciuta del 50%, e quella relativa alla componente A3 per gli incentivi alle fonti rinnovabili è cresciuta del 54%, raggiungendo una incidenza del 40 % sul costo totale della bolletta per una impresa industriale. La crescita in un anno” – chiosa Manfredini – “risulta quindi essere del 25%, con un costo complessivo di 150 euro per MWh, che è più del doppio, ad esempio, di quanto paga una analoga impresa tedesca, alla quale lo Stato, a differenza di quanto è avvenuto in Italia, non ha caricato alcun onere parafiscale per le rinnovabili”.

Sempre sulla materia si legga

www.lafinanzasulweb.it/2013/costo-dellenergia-in-italia-e-circa-il-doppio-che-in-francia-inghilterra-e-germania/

Conclusioni

Da questi semplici dati emerge in tutta la sua gravità il vero problema che frena (anche) la ceramica italiana: le tasse!

Un Governo saggio dovrebbe intervenire tempestivamente sulle dinamiche che stanno uccidendo l’Italia: ridurre i costi energetici, di trasporto, le tassazioni ormai vessatorie nei confronti dei lavoratori e delle imprese. Insomma cercare di mettere l’industria nazionale sullo stesso piano della concorrenza europea e statunitense. Come afferma Squinzi, Presidente di Confindustria, non abbiamo rimasto tante carte da giocare se non quella di puntare con decisione al rilancio del manufatturiero perchè settore a fortissima vocazione esportativa. Dobbiamo, anzi devono Pd e Pdl, decidere nei prossimi mesi dove tagliare, a cosa rinunciare, pur di destinare cifre importanti alla riduzione dei costi energetici delle nostre imprese.

Le vie sono tante: riduzione dell’evasione fiscale (come no!), rinuncia a qualche F35, vendita dei beni confiscati alla malavita.

Cari lavoratori della Ceramica Cooperativa, sicuramente la Vostra azienda ha fatto errori sulle strategie, ma il male massimo è prodotto dallo Stato che Vi ha sfruttato, direttamente ed indirettamente per tanti anni. Non siete messi in condizione di competere a parità di condizioni con la concorrenza causa i costi aggiuntivi descritti.

Per questo motivo dovete, e dobbiamo lottare, non solo per i doverosi e dovuti ammortizzatori sociali, ma gettare il cuore oltre l’ostacolo ed impegnarsi affinchè questo iniquo capitalismo muoia a favore di un’economia equilibrata che permetta a tutti di concorrere con le stesse possibilità, almeno in Europa e Stati Uniti.

Ultima considerazione, ma nel mio cuore è la prima: la crisi ha svelato una situazione sociale imbarazzante. La percentuale dei soci è veramenti risibile e ridicola. Spero che questo momento rappresenti la genesi per un nuovo impulso e spirito cooperativo che apra quella famosa porta verso l’accesso alla base sociale.

Non è pensabile immaginare la rinascita di questa orgogliosa colonna di Imola con solo 160 soci: una nuova coscienza cooperativistica sono certo donerebbe un grandissimo regalo alla ripresa.

Mario Zaccherini

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