CER AMICA? BY MARIO ZACCHERINI

Solo i più distratti possono essere rimasti colpiti dalle recentissime notizie provenienti dal comparto ceramico locale; leggere di centinaia di esuberi, relativi alla Ceramica Cooperativa, non deve sorprendere perché rappresentano solo il passaggio ulteriore di un mondo che sta finendo, per cause locali, nazionali ed internazionali.

Fin dal 2008 gli indicatori macroeconomici segnalano come questa crisi non sia la classica crisi, più o meno ciclica del capitalismo, ma una vera e propria crisi di sistema portatrice di modifiche drammatiche, da un punto di vista occupazionale, sul nostro distretto.

In generale bisognava (ri)pensare la qualificazione del territorio cominciando ad “immaginare”, nel mondo post crisi, quali settori, più o meno lentamente, sarebbero entrati in sofferenza o peggio ancora.

La politica locale, almeno dal 2010, è stata sollecitata ad aprire gli occhi da parte di tutti quei soggetti che, vivendo quotidianamente il mondo del lavoro, percepivano la genesi di un mutamento che avrebbe inevitabilmente modificato il profilo e la realtà del nostro territorio. Ad esclusione della meccanica, in particolare la meccatronica, era già evidente che attività legate all’edilizia residenziale ed al comparto ceramico sarebbero state destinate ad un lento declino nel caso in cui le imprese coinvolte avessero una forte vocazione all’export, e, nel caso di aziende prevalentemente legate all’azienda Italia, un declino velocissimo.

Anche la demografia, manifestando la bassa natalità territoriale, lasciava presagire un futuro dalle tinte fosche in particolare per la citata edilizia residenziale. Sarebbe bastato prestare una maggiore attenzione ai report, precisi e puntuali, sullo stato dell’economia locale, prodotti dal Circondario per capire che, nel terzo millennio, confidare negli ammortizzatori sociali non era la soluzione migliore per i lavoratori.

Probabilmente la politica, ed anche i sindacati, avrebbero dovuto essere più reattivi cominciando a ragionare, non più sulle varie sfumature di cassa integrazione, ma sul come ricominciare a produrre ricchezza sul territorio. Una vera e propria modifica culturale cominciando a mettere a fuoco i problemi partendo dalla fotografia della realtà, ovvero smettendo di parlare di crisi globale ineluttabile, perché la realtà insegna che una parte del mondo ha risentito poco o nulla della crisi (economie emergenti), una parte ci convive abbastanza bene (Germania), una parte la vive con moderata sofferenza (Francia, Inghilterra), una parte sta morendo (Grecia, Spagna, Italia).

Questo doveva essere il punto di partenza: è l’Italia è in profonda crisi! E’ il modello italiano ad essere arrivato al capolinea! Da qui la prima domanda: quali strategie locali sono possibili per fronteggiare ed arginare la crisi? Su questo punto Imola Migliore ha proposto una via di uscita tenendo conto delle risorse tecniche ed umane presenti sul territorio, collocandole all’interno dell’unico percorso possibile, quello dell’export. Si è tenuto conto del passato, del presente e di un futuro che non può sperare di attualizzarsi all’interno di vecchi modelli.

Costruzione di nuovi quartieri, come proposto nel Psc? Non scherziamo! La demografia ed il potere di acquisto del territorio insegnano che l’unico futuro, e sarebbe un grande futuro, dell’edilizia è legato alla riqualificazione urbanistica di tutti gli immobili pubblici (cominciando dalle scuole). Imola, ma più in generale l’Italia, avrebbero bisogno di trasformarsi in un immenso cantiere dedicato alla messa in sicurezza del patrimonio e del territorio pubblico.

Veniamo al mondo ceramico.

Questo settore è stato un formidabile polmone occupazionale per Imola e per l’Italia intera; Imola deve tantissimo alle nostre ceramiche, ma il mondo è cambiato e, nella nuova realtà, gli spazi ceramici per il made in Italy si sono ridotti enormemente……..e non da oggi. Questo è un punto fondamentale da comprendere: la ceramica italiana soffre non a causa della presunta crisi internazionale, ma, come vedremo, per colpa del mutamento e riposizionamento dei mercati mondiali.

Da qui la prima certezza: la ceramica non è in crisi, è in crisi il prodotto italiano!

Qualche numero per rafforzare il ragionamento: il mercato mondiale della piastrella, tra il 2007 ed il 2012, è passato da 10 miliardi a 12 miliardi di euro (+20%). Nel 1995 in Italia erano presenti 340 ceramiche che occupavano 32.386 addetti. Nel 2012 rimangono 159 ceramiche che occupano 21.335 addetti. In questi 17 anni l’Italia e la Spagna hanno dovuto cedere spazio a nuovi paesi emergenti ad altissima natalità (e quindi a forte sviluppo edilizio): Cina, Egitto, India, Iran hanno investito pesantemente nel mercato ceramico per rispondere ai bisogni del mercato interno e, in seconda battuta, presentandosi sui mercati anche come esportatori.

Questi dati non devono sorprendere perché, in linea di massima, il prodotto è povero e, cosa non trascurabile, il ritorno dell’investimento, con gli impianti a pieno regime è molto veloce. Cosa possono fare i produttori italiani contro i nuovi colossi mondiali? Sicuramente non competere con prodotti di scarsa qualità perché i costi locali dei paesi emergenti sono inavvicinabili. Presentare prodotti di alta qualità è sempre premiante, ma la qualità elevata non riuscirà a riassorbire tutti i lavoratori in eccesso. Ricercare nuove possibili produzioni a parità di impianti.

La soluzione della crisi è solo nelle mani degli imprenditori?

Forse no!

Esiste una particolarità che dovrebbe fortemente far riflettere i nostri politici: una ventina di aziende italiane hanno investito in produzioni in paesi esteri avanzati (Nord America, Europa). Queste imprese, pur presenti in mercati non a basso costo, occupano circa 7500 addetti e, se ci limitiamo al 2012, hanno prodotto 139.6 milioni di metri quadri di piastrelle (+14.3% sul 2011) vendendo 141.5 milioni di metri quadri di piastrelle (+11.1% sul 2011). Dati fortemente in controtendenza con la penisola dove, nello stesso periodo, la produzione è calata del 8.3% e le vendite del 7.5%.

Per dare una dimensione economica aggiungo che il fatturato complessivo di questi stabilimenti all’estero è di circa un miliardo e duecentomila Euro (+14.3% sul 2011). Questi dati devono stimolare domande sul perché un imprenditore, a parità di potenziale tecnologico e produttivo, riesca a creare occupazione e benessere in paesi avanzati, mentre in Italia sia sull’orlo della chiusura.

Già perché?

Forse perché oltre le Alpi il costo della burocrazia, compresi i suoi tempi, non è esorbitante? Forse perché la rete trasporti è più efficiente? Forse perché l’energia costa molto meno? Forse perché il cuneo fiscale è una vera e propria tassa sul macinato che lavoratori ed imprenditori devono versare continuamente allo Stato? Forse perché le tassazioni su società ed immobili gravano come macigni sui bilanci?

Oltre a questi aspetti, che solo la politica può risolvere, naturalmente non bisogna dimenticare che investendo direttamente nei paesi che hanno un significativo mercato interno della piastrella si risparmiano i costi di trasporto.

Cosa possiamo fare a Imola? Certe cose andavano fatte prima, per esempio un efficiente scalo merci…….altre possono essere fatte ora cominciando a pianificare un efficiente piano di riqualificazione industriale del territorio con annesso un poderoso intervento formativo sui lavoratori in uscita dal comparto ceramico, ma il grosso, ovvero mettere in condizione i produttori italiani di essere competitivi almeno con i concorrenti nord americani ed europei, è di competenza del Governo e delle Regioni.

Abbiamo pochissimo tempo e non dobbiamo peccare di ingenuità nello sperare che il Governo Pd-Pdl abbia le capacità di riportare lo sviluppo in Italia. La mia non è una forma di ostracismo verso il Letta-Berlusconi, ma la semplice constatazione che negli ultimi vent’anni hanno comandato le persone e gli apparati che attualmente ci governano.

A ben guardare, escluso Prodi che era persona competente di economia e mercati, in particolare dei distretti ceramici, se guardo il passato vedo solo la genesi dell’attuale declino del paese.

A volte mi domando se, sempre nel passato, sono stato troppo impietoso nei confronti di Craxi ed Andreotti.

Forse lo sono stato e come punizione mi ritrovo in Parlamento i Brunetta, Formigoni, Colaninno, Alfano, Letta, Berlusconi e sopra di loro Napolitano.

Si, me lo sono meritato!

Mario Zaccherini

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  1. Guerrino Frontali says:

    Come la si capisce va bene (1^ puntata)
    Le dieci regole essenziali per difendersi dal cigno nero
    di Nassim Nicholas Taleb

    1) Ciò che è fragile dovrebbe spezzarsi nella fase iniziale quando è ancora piccolo.
    Nulla dovrebbe ingigantirsi troppo prima di fallire. L’evoluzione, in economia, porta le situazioni con il maggior numero di rischi nascosti – e quindi le più fragili – a diventare sempre più grandi.

    2) Nessuna socializzazione delle perdite e privatizzazione dei profitti. Tutto ciò che necessita di essere salvato dovrebbe essere nazionalizzato; ciò che non necessita di aiuto dovrebbe essere lasciato libero, piccolo ed esposto ai rischi. Siamo riusciti a mettere insieme il peggio offerto dal capitalismo e dal socialismo. In Francia negli anni 80, i socialisti controllavano le banche. Negli Stati Uniti, nel 2000, le banche controllavano il governo. Si tratta di una situazione surreale.

    3) A coloro che guidavano uno scuolabus bendati (e l’hanno sfasciato) non dovrebbe essere mai più permesso di guidare un altro scuolabus. L’establishment economico (università, autorità di regolamentazione, funzionari delle banche centrali, funzionari governativi, economisti al servizio di varie organizzazioni) ha perso la propria legittimità a seguito del fallimento del sistema.
    Sarebbe imprudente e insensato da parte nostra se ci affidassimo alle capacità di questi esperti per uscire da questo caos. Al contrario, bisogna individuare le persone intelligenti e con le mani pulite.

    4) Non lasciare che una persona che riceve bonus e “incentivi” gestisca un impianto nucleare, né tanto meno i rischi finanziari. La probabilità è che aggiri le regole sulla sicurezza per evidenziare gli “utili” e vantarsi al contempo di essere “prudente”. I bonus non riducono i rischi nascosti di eventuali crisi. È stata l’asimmetria del sistema dei bonus a condurci a questa situazione. Basta con gli incentivi se non ci sono anche le sanzioni: il capitalismo si basa sulle ricompense e sulle sanzioni, non esclusivamente sulle ricompense.

    5) Equilibrare la complessità con la semplicità. La complessità della globalizzazione e di un’economia altamente interconnessa deve essere controbilanciata dalla semplicità dei prodotti finanziari. L’economia è già di per sé una specie di leva, la leva dell’efficienza. Tali sistemi sopravvivono grazie al rallentamento e alla sovrabbondanza; l’aggiunta del debito provoca rotazioni vorticose e pericolose e non lascia spazio a errori. Il capitalismo non riesce a evitare le tendenze e le bolle: le bolle patrimoniali (come nel 2000) si sono dimostrate contenute; le bolle del debito sono pericolose.

    6) Non dare ai bambini candelotti di dinamite anche se provvisti di istruzioni. I derivati complessi devono essere vietati perché nessuno li capisce e solo pochi sono abbastanza perspicaci da conoscerli. I cittadini devono essere tutelati, devono essere protetti dalle banche che vendono loro prodotti “di copertura” e dagli ingenui funzionari delle autorità di regolamentazione che ascoltano i teorici dell’economia.

    7) Solo lo schema di Ponzi dovrebbe basarsi sulla fiducia. I governi non dovrebbero mai avere bisogno di “ristabilire la fiducia”. Le voci dilaganti sono il prodotto di sistemi complessi. I governi non possono fermare tali voci. In parole semplici, dobbiamo essere in grado di scrollarci di dosso queste voci, essere abbastanza forti di fronte ad esse.

    8) Non dare a un drogato altra droga se soffre di crisi d’astinenza. Utilizzare la leva finanziaria per curare i problemi di troppa leva finanziaria non è omeopatia, è un’aberrazione. La crisi del debito non è un problema momentaneo, ma strutturale. È necessario un periodo di riabilitazione.

    9) I cittadini non dovrebbero fare affidamento sulle attività finanziarie o su fallibili consigli di “esperti” per il loro pensionamento. L’economia dovrebbe essere definanzializzata. Dovremmo imparare a non utilizzare i mercati come magazzini di valore: essi non presentano le certezze che le persone normali richiedono. I cittadini devono provare l’ansia riguardo le proprie attività (che controllano), ma non riguardo i propri investimenti (che non controllano).

    10) Preparare un’omelette con le uova rotte. Infine, questa crisi non può essere risolta con rattoppi di fortuna, così come una barca con lo scafo marcio non può essere riparata utilizzando raddobbi ad hoc. È necessario ricostruire lo scafo utilizzando del materiale nuovo (e più resistente); dobbiamo ricostruire il sistema prima che lo faccia da solo. Siamo noi che dobbiamo imboccare la strada verso la seconda fase del capitalismo facendo in modo che ciò che deve rompersi si rompa da solo, convertendo il debito in capitale, mettendo in disparte l’establishment economico e delle business school, abolendo il Nobel per l’economia, vietando le acquisizioni con indebitamento, mettendo i banchieri al loro posto, recuperando i bonus di coloro che ci hanno portato a questa situazione e insegnando alle persone a navigare in un mondo con minori certezze.
    In questo modo avremo un’economia più simile al nostro ambiente biologico: aziende più piccole, un’ecologia più varia, assenza di leve finanziarie. Un mondo in cui gli imprenditori, non le banche, si assumono i rischi e dove le aziende nascono e muoiono ogni giorno senza che ciò faccia notizia.
    In altre parole, un luogo più resistente alla comparsa dei cigni neri.
    10 aprile 2010
    Qualcosa vi ricorda qualcuno ? Es: chi lavora assai di finanza e utilizza il servizio come strumento per altro fine? Mahhh….!?

  2. Mario Zaccherini says:

    Mi riservo di rispondere, dedicandogli la dovuta attenzione, nei prossimi giorni a Guerrino.

    Per il momento pubblico un link che sottolinea in maniera drammatica i contenuti presenti nell’articolo e le vie di “fuga”.

    http://www.repubblica.it/economia/2013/06/19/news/costruzioni_oltre_11mila_imprese_fallite_ance_chiede_investimenti_infrastrutturali-61417232/?ref=HREC1-2

    Mario

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