IMOLA 2015: DAL BALLOTTAGGIO ALL’ALTERNANZA By SILVESTRO GAMBI

A giudicare da numerosi articoli apparsi di recente sulla stampa locale parrebbe che a Imola la politica, dopo una fase di ristagno, si sia rimessa in moto: non è così. E a meno ché non si voglia attribuire carattere di novità ad alcuni scontati cambi di campo, a un ritorno di qualche vecchio protagonista e alle tristi e impotenti riflessioni di altri, tutto rimane più o meno come prima. Un vero e proprio sistema di potere, radicato in una estesa rete di convenienze, governa stancamente una città segnata dalla stanchezza e rassegnata a un triste declino. Dappertutto si respira la polvere del tempo che si viene depositando su ogni dove: istituzioni, struttura produttiva, assetto urbano. Negarlo, come fa  il sindaco Daniele Manca per dovere di ruolo più che per convinzione, non serve a niente: la situazione è sotto gli occhi di tutti. Così, invece di progetti di rilancio, ipotesi di sviluppo coniugati con un rinnovato spirito di iniziativa, si preferisce gestire rassegnate transumanze e fornire qualche insipido boccone  riscaldato alla mensa del potere locale: roba piccola ma che basta per sdentate mascelle.

Non si può neanche parlare di cattivo governo ma di incapacità di governo tout court. Nulla si fa per arrestare il declino, per invertire la tendenza, per “cambiare verso” a questo malinconico stato di cose. Certo, non è facile, bisogna ammetterlo, ma lo sarà ancora meno se il PD continuerà a confondere la buona politica con l’agilità nel restare comunque dalla parte giusta del potere: ieri l’altro D’Alemiani, ieri bersaniani e oggi renziani, con pretese di certificazione ante marcia, come si sarebbe detto in altri tempi. Dall’altra parte le opposizioni, che vivono il proprio ruolo non già con la messa a punto di un’ipotesi di alternanza, anche modesta ma vissuta come obiettivo politico principale, ma si accontentano di una miriade di punzecchiature, a volte anche ben motivate sia ben chiaro, ma che anche sommate, nella diversità delle provenienze, non fanno e non faranno mai massa critica per una alternanza di governo nella città. E si può capire perché la gente, denominazione sociologica di quello che una volta si chiamava popolo, normalmente sceglie il certo, anche modesto, in luogo dell’incerto e spesso è costretta a scambiare questa che è una semplice sensazione di certezza con la credibilità che non c’è e che scatenati personalismi non possono garantire: questo sosteneva uno dei primi studiosi di sociologia della politica, Michels,  ai primi del novecento ed è vero tuttora a quanto pare. E pare proprio che lo scopo più abbordabile delle opposizioni sia quello di assicurarsi un posto a sedere nel teatrino del consiglio comunale e quelle tre righe che la stampa locale può, di volta in volta, dedicargli, più simile al “pastone” che non ad articoli veri e propri. Quindi il PD può dormire sonni tranquilli, si troverà davanti la solita male assortita pluralità di listarelle di opposizione e nessun reale pericolo che possa stimolarne la riflessione e il cambiamento. Segnali, in passato, sono stati indirizzati a una ricerca di novità, ricordo a suo tempo Progetto Imola e di recente Imola Migliore (la parte migliore ovviamente) e tutto quello che c’è stato in mezzo, ma tutti avevano la pretesa di aver concepito un programma migliore per la città, di essere soggettivamente il sale della terra che avrebbe convinto gli elettori alla svolta. Ma per dirla con Procacci nella storia degli italiani in politica il sale della terra non esiste e i voti non vengono a valanga ma uno a uno, come formichine. E qui siamo al punto. Bisogna convincersi che l’unica politica sensata da porgere alla città sia il ballottaggio, come obiettivo esclusivo di transito verso il cambiamento. Il ballottaggio, solo, può mettere in moto una riflessione interna al PD e la premessa di un profondo cambiamento mentre può riportare alle opposizioni quella vocazione locale che è indispensabile a costruire una politica di governo, in luogo dello scimmiottamento, ciascuno della propria identità nazionale di riferimento, per ricavarne il misero dividendo di qualche voto di appartenenza. Nei pochi giorni che separano il primo e il secondo turno si svelano le vere carte che ciascuno intende giocare e si porge agli elettori, pur dall’interno di un sistema elettorale del tutto carente, una reale possibilità di scelta democratica. Tutto qui: può parere semplice, ma non lo è. Perché si tratta di liberarsi dei propri individualismi e dei radicati personalismi, di superare anacronistici steccati, di mettere nel ripostiglio delle scope vecchi simboli e inveterati, quanto inutili, modi di pensare ed essere in grado di passare la ruota, come nelle gare di ciclismo, a quello della scuderia che è in grado di arrivare. Non deve essere considerato un sacrificio, ma anche se lo fosse la nostra città di certo lo merita ancora.

Silvestro Gambi

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  1. Charles Lindbergh says:

    Acuta e forbita l’analisi di Silvestro ma scarsa di soluzioni. Vista la indiscutibile latitanza di minoranze credibili e votabili, osservato lo strapotere dell’iridiforme maggioranza, passata ed incipiente, io propongo una soluzione democraticissima, adottabile da tutti, bimbi, uomini, donne, giovani ed anziani assai efficace se condivisa e perpetuata. O’ pernacchio (ultima spes) https://www.youtube.com/watch?v=gkrnK0igAP0 di testa e di petto, tutte le volte che si incontra ‘sta ggente tronfia, piena di sè.
    Attenzione ! Mano molle, labbra umettate e dita alzate. Ormai l’unico modo per fare la rivoluzione.

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