SIAMO TUTTI EBREI

By ValentinaCamac (ringraziamo ilrasoio.wordpress.com per aver permesso la pubblicazione)

Sono state scritte valanghe di libri e girati decine e decine di film sul tema dell’Olocausto. Ogni volta è incredibilmente complesso tentare di incidere nel cuore e nella mente delle persone per far comprendere anche solo una minima parte della strage compiuta ai tempi della Seconda Guerra Mondiale, ma ultimamente sembra essere sempre più difficile coinvolgere direttamente la popolazione.

Ciò che mi turba è che sembra che tutti sappiano tutto, sembra che tutti siano assolutamente consapevoli del passato, assolutamente informati su quanto accaduto, assolutamente certi che mai e poi mai si ripeterà. Una volta, a scuola, quando bisognava votare sul tema dell’assemblea d’istituto, qualcuno aveva proposto, essendo nel periodo tra gennaio e febbraio, la tematica della Shoah. La risposta, o meglio, la polemica sollevata, era stata “E’ così scontato, è un argomento trito e ritrito.”

Abbiamo capito tutto allora. Proprio quando, nell’intervistare un sopravvissuto, egli non riesce più a parlare e dice semplicemente “Quanto è successo è così grande e terribile che nemmeno io ci credo”, noi decidiamo di passare oltre.

Sì, sappiamo che sono morti sei milioni di ebrei, e sì, sappiamo che venivano sterminati in massa attraverso le pratiche più crudeli.

Ma la portata dell’atto, la psicologia intrinseca dell’uomo, le ripercussioni, la completa disumanità… siamo sicuri di aver veramente recepito anche solo un briciolo di tutto ciò?

In Germania la storia della Seconda Guerra Mondiale e la tragedia dei campi di concentramento sono argomenti ricorrenti, che vengono trattati in svariate occasioni, molto più che in Italia. E’ come se il popolo tedesco volesse costantemente, ogni giorno, ricordare quello che ha fatto, come se volesse perennemente mettere in guardia se stesso e chi lo circonda che la storia potrebbe ripetersi. E soprattutto, è come se volesse scavare sempre più a fondo ai fatti e al pensiero che stava dietro ad essi.

D’altra parte, quando mai il popolo della Germania, ai tempi di Hitler, avrebbe anche solo immaginato quanto sarebbe accaduto? Se lo avessero raccontato loro in anticipo, come in una sorta di previsione, si sarebbero guardati disgustati, e avrebbero sostenuto che mai simili atti potevano venire compiuti.

Invece, essendo stato tutto lento e progressivo, lo scempio del nazismo, della discriminazione e dell’odio si è lentamente insinuato sotto la pelle delle persone, sussurrando loro all’orecchio che ciò era giusto, e che bisognava continuare a seguire il  Führer.

E’ per questo che i sostenitori del nazismo, che vedevano passare il treno con i prigionieri diretti ai campi di lavoro (e poi di sterminio) si mettevano a ridere e dicevano “Finalmente! Se lo meritano, quei bastardi”.

Solo dopo, a mente lucida, ci si rende conto dell’orrore. Solo alla fine, dopo che gli occhi sono stati aperti a forza, si vede la mostruosità. Alcuni non ne sono nemmeno convinti, lo rifiutano totalmente. Altri impazziscono. D’altra parte, c’è davvero da impazzire se si pensa a quello che poteva esserci nelle menti di coloro che impartivano gli ordini, e ancora di più nella mente di chi agiva.

Quelli che vengono chiamati “i Sopravvissuti” hanno reagito nei modo più disparati. C’è chi ha tentato di rifarsi una vita, nascondendone una parte in un cassetto dei ricordi, pronto però a tirarlo fuori quando necessario. C’è chi ha vissuto nel tormento e nel senso di colpa per essere stato tra gli unici superstiti. Alcuni invece a distanza di anni, dopo aver tentato assurdamente di dimenticare e di reprimere, si sono suicidati, poiché il peso di ciò che avevano vissuto era troppo grande da sostenere.

Tutto ciò per dire che, secondo me, non è mai abbastanza. Non è mai abbastanza parlarne, leggerne, ascoltarne, di questo pezzo di storia che ha messo il mondo in ginocchio. Non è mai scontato, ogni volta si può trovare un punto di vista diverso, delle parole diverse, degli occhi diversi che mentre ti guardano provano a farti immaginare quello che loro hanno visto.

Quindi ricordiamo. Pensiamo, elaboriamo, parliamone. Non dobbiamo avere paura di capire ogni aspetto più profondo. E tutto questo, però, non viviamolo come l’obbligo di sentirci tristi, tesi o abbattuti. Ricordiamo, semplicemente. Anche perché alla domanda “Perché sorridi sempre?” posta ad un ebreo sopravvissuto ad Auschwitz, la risposta è stata: “Cosa devo fare, piangere? Sono sopravvissuto, sono vivo. Sorrido per questo.”

Valentina Camac

Foto di Martina Di Toro ( http://www.flickr.com/photos/marthie/)

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