Firem: come smontare una fabbrica e trasferirla in Polonia in una notte By Enrico Monaco

Formigine (Modena): Oggi appena appresa la notizia sono rimasto profondamente colpito: non pensavo che si potesse smobilitare di nascosto una fabbrica in una notte. Questo è accaduto in una piccola azienda della provincia modenese, la Firem di Formigine, specializzata nella produzione di resistenze elettriche. Il proprietario, il signor Fabrizio Pedroni, ha sfruttato il periodo di ferie dei suoi 40 dipendenti per trasferire tutti i macchinari dell’azienda in Polonia. Lì ha deciso di continuare la sua attività imprenditoriale, senza dare nessuna comunicazione della sua scelta. Nella notte sono stati caricati sui camion tutti i mezzi di produzione e il giorno dopo Pedroni ha reso pubblica la sua decisione di trasferire l’azienda, senza alcun preavviso nei confronti dei lavoratori.

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Gli operai hanno organizzato un presidio, come potete vedere nella foto, giorno e notte per denunciare la gravità dell’azione subita. Oggi sono andato lì per parlare con loro e capire meglio cosa fosse successo. Ho scoperto che l’azienda non era in crisi, anzi aveva dovuto aumentare la produttività nell’ultimo anno per fare fronte alle numerose commesse. Gli operai lavoravano tra orario normale e straordinari obbligatori, senza immaginare minimamente un epilogo del genere: erano andati in ferie il 2 agosto tranquilli, pronti a riprendere il loro lavoro alla fine del mese. E invece un’inaspettata svolta ha messo in discussione questa certezza. Non è stata una situazione di crisi pertanto a spingere il proprietario a questa delocalizzazione selvaggia e improvvisa.

Il motivo si capisce invece leggendo quest’intervista rilasciata al Resto del Carlino dal signor Pedroni dalla Polonia nella quale spiega il perché del suo gesto, cioè l’insostenibile pressione fiscale alla quale era sottoposto.

http://www.ilrestodelcarlino.it/modena/cronaca/2013/08/17/935501-fabrizio-pedroni-trasferisce-firem-in-polonia.shtml

L’operazione tuttavia sembra studiata a tavolino anche perché qualche mese prima l’amministratore delegato dell’azienda aveva comunicato agli operai la necessità di “ospitare” alcuni lavoratori polacchi nello stabilimento modenese, in quanto sarebbe stata realizzata una fusione con un’altra azienda straniera. Al contempo erano stati mandati alcuni operai italiani in Polonia per avviare uno scambio di conoscenze in modo da agevolare la nuova produzione. E invece ecco scoperto il motivo di questo fittizio “scambio” di intelligenze: trasferire conoscenze per spostare la produzione in Polonia.

Il pensiero che mi ha subito sfiorato è stato il seguente: e se tutti gli imprenditori facessero così?

Qui non si vuole mettere in discussione la possibilità di spostare la propria azienda all’estero, cosa che in un contesto di crisi come questo può anche rappresentare un modo per salvare una produzione. Quello che più colpisce di questo gesto è il modo vigliacco e spregiudicato con il quale è stato condotto, senza alcun rispetto nei confronti dei lavoratori, senza alcuna volontà di confronto con le parti sindacali e senza alcuna riconoscenza per il territorio nel quale era radicata l’azienda. Ora questi operai si trovano improvvisamente senza lavoro e senza la possibilità di pensare, potendo pianificare, un’alternativa per rientrare nel mondo del lavoro.  Su di loro gravano responsabilità alle quali non sanno se potranno fare fronte (figli e mutui) e soprattutto il trauma di aver ricevuto una coltellata alle spalle da parte del loro datore di lavoro.

La tassazione alta, le condizioni di difficoltà per ottenere un prestito e la burocrazia ossessiva del nostro paese sono note a tutti gli italiani ormai, ma non si possono usare queste come pretesto per mettere in atto scelte lesive della dignità e dell’interesse dei lavoratori, oltre che del benessere delle comunità locali e dell’Italia stessa. Io riconosco la difficoltà di fare impresa oggi in Italia, ma va anche ricordato che molti degli imprenditori che si lamentano hanno beneficiato per anni, quando le vacche erano grasse, di incentivi e sgravi in favore delle loro attività. Sono stati agevolati dalla costruzione di infrastrutture e supportati dalle associazioni di categoria con servizi specifici. In Emilia-Romagna hanno anche beneficiato di condizioni sindacali non conflittuali aiutati da un sistema di regole favorevole allo sviluppo dell’imprenditoria. Di questo non ci si ricorda mai quando si deve criticare l’Italia?! Pertanto questi atteggiamenti sono criminali: socializzare le perdite e mantenere i profitti non è mai stato un buon metodo per far prosperare un paese. Ed infatti la grande industria italiana ha fatto una misera fine proprio per questo.

Quello che penso è che sia molto importante non lasciare passare sotto silenzio questa vicenda. Le istituzioni locali e nazionali, i partiti politici e i sindacati non devono dimostrare solamente solidarietà a questi lavoratori: devono offrire risposte. Come si può limitare la delocalizzazione selvaggia? Come si può aiutare i lavoratori che perdono il lavoro a causa di questo a ricollocarsi in un mercato del lavoro asfittico? La politica deve fare la sua parte, lo dobbiamo pretendere. E noi cittadini dobbiamo fare altrettanto, soprattutto quelli che non vivono sul settore metalmeccanico, dobbiamo opporci a queste operazioni inaccettabili denunciandole. Dobbiamo fare capire che chi si comporta come questo imprenditore modenese non è degno di essere chiamato né imprenditore né italiano. Perché dobbiamo farlo? Perché un domani, se rimarremo in silenzio, potrà toccare a noi subire questo trattamento. E se non avremo fatto nulla probabilmente saremo lasciati soli nelle mani dei nostri aguzzini. Se dunque lasceremo passare questi comportamenti l’Emilia-Romagna e l’Italia diventeranno una landa desolata dalla quale le imprese migliori saranno fuggite, per lasciare un paesaggio fatto di macerie, e non ci sarà più la possibilità per tornare indietro.

Io oggi sono andato a parlare con questi operai, ad ascoltare la loro storia per non lasciarli soli di fronte a questa ingiustizia e mi impegnerò nel mio piccolo per denunciare questa vergogna. Facciamo altrettanto e domani quando la crisi sarà finita la nostra regione e forse il nostro paese saranno più civili e più preparati ad andare verso un futuro migliore per tutti.

Enrico Monaco

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  1. Lello says:

    Perchè a questi imprenditori non gli si toglie la cittadinanza italiana e bloccano il commercio con l’Italia ??????

  2. paolo says:

    I titolari hanno tutto il diritto di produrre dove vogliono. Non siamo in unione sovietica. Dovete ficcarverlo in testa.

  3. tonino33 says:

    Tasse, burocrazia, sindacati. Ecco i responsabili. L’imprenditore aveva tre scelte: chiudere, delocalizzare o suicidarsi. Ha scelto di delocalizzare. Siccome i dipendenti, se avvisati, avrebbero giocato sporco gambizzandolo e/o prendendo in ostaggio i suoi macchinari, ha agito con intelligenza: di anticipo e di sorpresa. Solo un fesso avrebbe fatto altrimenti. Personalmente avrei scelto il suicidio ma prima mi sarei confrontato con i sindacati, la fiom in particolare. Li avrei riuniti in fabbrica, li avrei chiusi dentro, avrei allagato l tutto di benzina e li avrei bruciati tutti. Non capisco gli imprenditori che si suicidano senza prima vendicarsi sugli artefici della loro rovina. A quel punto che gli costa?

  4. Cari Paolo e Tonino33, i vostri commenti mi fanno sorridere. Visto che la pensate così perché non siete nella libera America o nella laboriosa Cina a mettere a disposizione le vostre competenze e il vostro entusiasmo la dove le regole non esistonoo sono così tante che poi non vengono applicate?
    Parlate come se la delocalizzazione fosse l’unica ancora di salvezza. Ma siete degli imprenditori? Questa impresa era in attivo! Ripeto, era in attivo! Non era abbastanza grande per realizzare tutte le commesse richieste.
    Il fatto poi che Tonino33 individui i colpevoli e proponga soluzioni da squilibrati mentali (senza offesa per chi è affetto da patologie della psiche) è solo la dimostrazione che non c’è la volontà da parte sua e la capacità di affrontare un problema e risolverlo. La frustrazione e l’odio verso gli altri non sono certo una soluzione, ma solo una dimostrazione di impotenza e di incapacità. Questo registro leggendo i vostri commenti. Anche queste vostre posizioni esprimono il perché del fallimento di una parte del nostro paese.

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