Primarie a Genova: scarsa credibilità del Pd o eccessivo centrismo? Tutti e due. By Enrico Monaco

Qualche giorno fa a Genova si sono celebrate le primarie del centro-sinistra per scegliere il candidato sindaco. I principali protagonisti della competizione sono stati Marta Vincenzi (Pd) sindaco uscente di area Ds, personalità non esattamente inquadrabile nelle logiche di partito (e per questo mai completamente digerita dall’establishment locale del Partito Democratico); Roberta Pinotti (Pd) senatrice e insegnate proveniente da una tradizione di sinistra, ma legata a doppio filo con il mondo cattolico ed infine Marco Doria, il candidato outsider docente universitario sostenuto da Sinistra Ecologia e Libertà (nota: non l’unico dei candidati di Sel).

La corsa si è risolta con la vittoria di Marco Doria con il 46% dei voti e a seguire le due colonne portanti del Pd genovese, Marta Vincenzi al 27% e Roberta Pinotti al 23%. Questa dinamica, come è stato detto su molti giornali e blog, ricalca i precedenti successi di Pisapia a Milano, De Magistris a Napoli, Zedda a Cagliari e tante altre sono le realtà locali dove il Pd perde a favore di alleati di minor peso politico. Bisogna poi sottolineare che il principale soggetto che ha beneficiato di questo processo è Sinistra Ecologia e Libertà, forse non a caso.

Le reazione dei vertici nazionali del Pd sono sempre state molto caute e diplomatiche, per usare un eufemismo, di fronte a quello che a parere di una larghissima parte di giornalisti e osservatori viene definita come la debolezza della classe dirigente del Partito Democratico. Bersani ha definito le primarie di Genova “un’ammaccatura”. Questo significa non vedere il problema, o fare finta che non esista, cosa che fa perdere ulteriormente di credibilità.

Il Pd ha perso a Genova perché non ha sostenuto un solo candidato, lasciando agire le correnti interne e quindi generando una lotta intestina. Inoltre le due prescelte non sono riuscite a raccogliere il consenso della base dell’elettorato. Marta Vincenzi non è stata capace durante il suo mandato di scardinare le logiche di potere sedimentate in un’amministrazione di partito che dura da 40 anni e non partiva da una posizione politicamente debole per le sue responsabilità nel disastro dell’alluvione (leggi espansione edilizia incontrollata). Roberta Pinotti invece ha cercato l’appoggio di esponenti importanti come Cofferati o degli ambienti cattolici, o l’alleanza con l’Udc piuttosto che puntare su temi politici concreti.

In tutto questo un docente universitario presentato simbolicamente dalle firme di un pugno di intellettuali, benedetto da Don Gallo e sostenuto da Nichi Vendola ha condotto una campagna elettorale low-cost in mezzo alle persone discutendo di programmi politici concreti, creando un processo partecipativo che si è tramutato in consenso elettorale. Società civile contro politica pura, questo è stato il paradigma dello scontro. E ha vinto la prima.

Penso che il Pd abbia perso per due motivi. Primo per non essere stato in grado di rinnovare la sua classe dirigente nel corso del tempo (e questo non succede solo a Genova). Secondo perché si è appiattito da tempo su posizioni moderate e centriste preferendo cercare il sostegno e il consenso di poteri forti piuttosto che proporre politiche più vicine ai lavoratori. La vittoria di Marco Doria rappresenta dunque:

  1. la voglia di ricambio della classe politica.
  2. la punizione inferta ai vertici locali del Pd dal suo elettorato.
  3. il desiderio degli elettori di centro-sinistra di una politica fatta di temi concreti.
  4. la voglia di sinistra.
  5. una maggiore apertura verso la società civile.

L’elettorato sta mandando segnali evidenti ai vertici nazionali del Partito Democratico da tempo: vogliono una politica onesta, che metta al centro il lavoro realmente e che sia realizzata da nuove persone.

La risposta dei vertici è quella di chi si nasconde e prende tempo, ed infine cerca di aggirare il problema. Infatti a pochi giorni dalla sconfitta Bersani ha detto che il Pd deve sostenere un solo candidato preselezionandolo, nessuna autocritica. Franco Marini ha dichiarato che le primarie sono contro natura (mi chiedo che cosa ci stia a fare nel Pd dopo tale affermazione). E l’area moderata e centrista (Gentiloni e Letta) che una deriva a sinistra è incompatibile con il progetto del Pd.

Personalmente non penso che sia necessario trasformare il Pd in un partito social-democratico come qualcuno ha proposto: sarebbe anacronistico e non terrebbe conto della storia politica del nostro paese. Esistono culture politiche cattoliche che ben si integrano con i valori della tradizione comunista, ma non tutte possono stare all’interno del Pd. Bisogna scegliere. La cultura della solidarietà e l’attività di una “chiesa sociale” ben rappresentata ad esempio da persone come Don Gallo o Alex Zanotelli sono compatibili; non lo sono posizioni troppo liberali come quelle esposte da esponenti come Fioroni o Letta che vorrebbero candidare Monti alle prossime elezioni, e che non sono disponibili a stringere alleanze con soggetti politici troppo di sinistra come Nichi Vendola. In questo senso è evidente che non è stato fatto abbastanza per arrivare ad una sintesi che contempli il pluralismo, scegliendo culture politiche compatibili e superando le divisioni correntizie figlie dei personalismi e della politica di professione.

In ogni caso con le primarie il processo di cambiamento ha subito un’accelerazione che non può essere bloccata. Quindi penso che i dirigenti del Partito Democratico farebbero bene ad accettare i segnali che vengono loro dati dagli elettori, cambiando le cose che non vanno. Nel caso ciò non avvenisse assisteremo alla progressiva erosione del maggiore soggetto politico di centro-sinistra a favore di partiti come Sel e Idv, nonché della proposta politica anti-sistema del Movimento 5 stelle, cioè un’ulteriore frammentazione della composizione politica della sinistra.

Se i vertici non cambieranno politica, gli elettori prima o poi cambieranno i vertici dei loro partiti. E in tutto questo non è escluso che possa tornare a vincere il centro-destra, quindi è meglio cambiare davvero e con decisione.

Enrico Monaco

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