LA PERIFERIA DELL’ANIMA By MARIO ZACCHERINI

Recentemente ho avuto occasione di leggere un documento, redatto dalla Caritas imolese, centrato su un argomento, meglio ancora un aspetto, spesso occultato dalla nostra vita: la povertà come compagna, sempre più invasiva, della nostra contemporaneità.

La povertà è un argomento non troppo amato o ripreso dalla nostra politica perché, molto probabilmente, viene letto come una forma di insuccesso all’interno di un determinato modello politico/amministrativo. Spesso avete sicuramente avuto occasione di ascoltare, o leggere, nei pensieri di affermati politici locali una forte enfasi nell’affermare che nella nostra città non esistono periferie (nel senso sociologico), non esistono “sacche di disagio”, la delinquenza ė ai minimi, i servizi sono efficienti, l’integrazione non ė un problema e, aggiungo io, il territorio dispone dei migliori allevamenti nazionali di “asini che volano”. Questa fotografia, esclusa la fiorente industria degli asini volanti, si scontra fortemente con una realtà composta da industrie che chiudono i battenti, un’edilizia al collasso, un commercio che si interroga quotidianamente sul proprio futuro e un’agricoltura ancora incapace di creare un modello di sviluppo autonomo.

A tutto questo si aggiunge un’ulteriore constatazione molto amara: il territorio imolese non è più in grado di assorbire gli studenti completati il ciclo degli studi. Sulla crescente disoccupazione siamo tutti informati. Possibile che questa situazione non produca effetti sulla nostra società? Li produce, eccome se li produce!

Produce nuove periferie (sociali, non territoriali), zone spesso invisibili dove trovano spazio le vecchie e le nuove povertà, disagi classici associati a nuove dipendenze fisiche e psicologiche. Tutti i giorni gli abitanti delle periferie ci passano vicino, ma noi non ci rendiamo conto delle loro sofferenze. Come Engels descrisse nella “La situazione della classe operaia in Inghilterra” la vita misera degli operai inglesi, oggi, questo documento della Caritas, ci permette di comprendere le storture del nostro sistema e chi sono gli abitanti delle nostre periferie.

Le condizioni per diventare membri di questa nuova comunità possono essere le più svariate: problemi abitativi, di salute, di lavoro, economiche, di dipendenze (attenzione perché, alle vecchie dipendenze legate al consumo di alcool e stupefacenti, si è aggiunto il pericoloso killer del gioco, vera e propria piaga sociale che individua le prime vittime tra i giovani. E’ un fenomeno relativamente nuovo, ma pericolosissimo).

I numeri della crisi

Per inquadrare meglio il problema delle nuove periferie dobbiamo aver chiaro l’universo statistico di riferimento, ovvero le anime che vivono nella nostra città equivalenti a 69774 al 01.01.2013. Solo nel 2012, limitandoci agli interventi della Caritas Imola ed escludendo le attività delle Caritas parrocchiali, scopriamo che ben 968 gruppi familiari, per un coinvolgimento complessivo di 2384 persone, si sono trovati nelle condizioni di chiedere aiuto. In termini statistici significa che il 3.5 % della popolazione vive con sofferenza la quotidianità. Il valore numerico è drammatico, ma non esprime del tutto il problema, perché non tutto il disagio viene “intercettato” dalla Caritas. Molte persone, non sono in grado di quantificare il numero, vengono seguite dai servizi sociali e molte altre si affidano al sostegno parentale.

Gli abitanti delle periferie, ovvero le vittime del disagio

L’inchiesta della Caritas fa cadere un antico pregiudizio, quello dell’extracomunitario arrivato in Italia in cerca di fortuna, coltivando la speranza di vivere alle “spalle” della comunità che lo ospita. Falso: gli abitanti delle nuove periferie sono equamente divisi tra italiani e non, tra giovani ed anziani, single e coppie. Insomma è tempo di aprire gli occhi perché, le periferie, non sono un problema, ma il problema in quanto l’effetto ultimo di una serie, piuttosto ampia, di focolai di crisi presenti da almeno 5 anni sul territorio imolese. Per valutare l’intensità e l’importanza della presenza Caritas ad Imola è sufficiente collegarsi direttamente al rapporto di riferimento:

www.caritasimola.it/sites/default/files/Rapporto%20Caritas%20Imola%202012.pdf

Cosa possiamo fare?

Come cittadini possiamo fare tantissimo a condizione che ci si ponga l’obiettivo di individuare e dirottare tutte le risorse economiche ed umane verso il vero disagio. Imola è una città con un volontariato molto presente e diffuso, ma ancora non basta perché, in particolare nell’ultimo decennio, le risorse si sono ridotte in modo drammatico. Gli ambiti fondamentali di intervento devono essere due: 1) attivarsi per riqualificare, da un punto di vista industriale, il nostro territorio (creare occupazione, quindi “ricchezza”, è uno dei migliori antidoti per contrastare la povertà rampante) 2) aumentare le risorse a favore degli abitanti delle periferie. Il secondo punto, nell’immediato, è il vero terreno sul quale abbiamo l’obbligo morale di intervenire. Prima ancora del privato cittadino spetta alle istituzioni prendere coscienza, guardandosi nella loro anima valutando se, fino ad oggi, sia stato fatto tutto il possibile. A mio parere si può fare di più “raschiando nel barile”, ovvero cercando di individuare nuovi risparmi nelle spese pubbliche e attivando il concetto di giustizia laddove sia assente. Nel caso Caritas i danari messi a disposizione nel 2012 sono nell’ordine di 110000 euro. Possiamo, come comunità, innalzare questa cifra? Sicuramente si! Qualche esempio al limite del banale: il Consiglio Comunale costa alla comunità oltre 20000 euro all’anno. Sarebbe sufficiente spostare l’orario di convocazione alle 18 per risparmiare la cifra indicata, dirottare le risorse verso la Caritas ed ottenere un incremento del 18% (diciotto per cento!) delle risorse fruibili.

Un’operazione semplice da attuare e meritoria, ma che è stata rifiutata anche da coloro che, sempre in Consiglio Comunale, con voce quasi strozzata dall’emozione denunciano che per qualche concittadino anche il pane comincia ad essere un problema!

Se le forza politiche non sono disposte a rinunciare a nulla forse l’Autodromo di Imola “dovrebbe/potrebbe” essere una risorsa per il territorio a condizione che esista una condivisione sul termine “risorsa“.

Le risorse, da sempre, sono quantificabili e, fatta l’operazione di quantificazione, destinabili alle più svariate attività. Se anche Imola rispondesse a queste banali considerazioni ogni anno, grazie all’attività dell’impianto, potrebbe destinare risorse importanti verso i concittadini che attraversano un momento sfortunato della loro vita.

Sappiamo tutti che così non è, anzi avviene l’esatto percorso contrario, ovvero l’impianto assorbe risorse pubbliche (milioni di euro) per continuare a vivere. Quello che non sappiamo è che, sempre per favorire questa vita/non vita dell’Autodromo, anche la giustizia contributiva viene affossata.

Non ci credete? E’ sufficiente visionare il bilancio 2011 del Comune di Imola per scoprire che Formula Imola è stata esentata per ben due volte dal pagamento della Cosap, una prima volta in occasione della manifestazione sportiva “6ore di Imola 2011” (valore 498.6 euro) ed una seconda in occasione della manifestazione “Campionato Superbike” (valore 12649.48 euro).

Se facciamo la sommatoria dei tre punti presi in esame (Consiglio Comunale, più due esenzioni Formula Imola) arriviamo ad una cifra di oltre 33000 euro. Cifra ridicola che si sarebbe potuta raggiungere grazie al semplice buonsenso, che comunque avrebbe rappresentato, se destinata alla Caritas, un incremento del 33% delle risorse economiche disponibili.

Così non è stato…………

In fondo è più facile, e comodo, addossare le ragioni dell’esistente infelice alla globalizzazione, a Berlusconi, a Prodi, ai Comunisti o alle stagioni che non sono più quelle di una volta, piuttosto che intervenire nelle piccole, ma importantissime, economie locali. Già oggi dobbiamo mettere in agenda i ragazzi che non completeranno gli studi: cosa vogliamo fare? Vogliamo perderli per sempre nelle periferie oppure provare a costruire percorsi formativi utili, con relativi posti di lavoro, in base alle vere esigenze del territorio? Domanda retorica e risposta ovvia a condizione che la città, non più la politica, pretenda che nel nostro territorio riappaglia la giustizia sociale ed il merito.

*Ludopatia

Un’ultimo appello a chi ha il potere ed anche il dovere di intervenire. Le periferie si stanno popolando a vista d’occhio per tante cause (disoccupazione, ridotto reddito familiare, situazioni sanitarie estreme ecc), ma un tremendo virus sociale rischia di mettere seriamente in ginocchio tanti territori: la ludopatia. Fortunatamente la politica nazionale più illuminata sta intervenendo con successo su questo pericoloso fenomeno, ma ad Imola siamo ancora arretrati culturalmente per poter affrontare con successo questa “epidemia”. Dobbiamo attivarci molto velocemente perché corriamo il rischio di perdere tanti giovani (recenti indagini collegano, fatto 100 l’universo di riferimento, un 35% dei giovani giocatori all’assunzione di droghe varie).

Intervenire tempestivamente significa contrastare in maniera efficace l’incremento delle periferie e rimettere sulla giusta via tanti giovani.

Anche questo è un ragionamento banale, ma, ad oggi, sul nostro territorio non si combatte.

Mario Zaccherini

*Ludopatia: Dipendenza patologica dai giochi elettronici o d’azzardo

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  1. Almeida says:

    Gli esempi che hai fatto sono solo alcuni dei tanti piccoli risparmi che una macchina come quella del Comune potrebbe fare.
    Non necessariamente peggiorando la qualità dei servizi.
    Ma la vera ciccia va cercata nelle partecipate del Comune.
    È’ un discorso vecchio, ma le nomine di questi giorni confermano che il vero scandalo e’ in quella zona grigia.
    Tagliamo solo del 20% gli emolumenti del Presidente di Con.Ami/ Consigliere di HERA SPA, e hai già recuperato 20.000 Euro (e a lui ne rimangono comunque 80.000 più i benefit …. più le sue attività private ….). Con i titoli di studio che abbiamo letto ….
    Riduciamo i membri dei vari CdA inutili ….
    Evitiamo i doppi incarichi pluriretribuiti: se uno e’ bravo, magari e’ pensionato ed ha voglia e tempo da dedicare alla comunita ben venga, ma dopo la pensione, perché pagargli 10 indennita di carica? Non basta 1?

  2. Ottimo articolo Mario. Penso che negli ultimi 30 anni l’Italia abbia subito un parziale processo di trasformazione culturale proveniente dagli Stati Uniti e dal mondo anglosassone che ha modificato il significato della parola povertà. In questo senso mentre prima le ristrettezze e l’emarginazione sociale erano viste, sia nella cultura cattolica che in quella comunista, come fenomeno da contrastare attraverso la solidarietà e la creazione di lavoro, oggi chi è povero risulta essere giudicato come fallito e colpevole per la sua incapacità di affermarsi. Il capitalismo americano ha esportato in ogni ambito della vita, e soprattutto in quello sociale e comunitario, il valore della competizione e dell’esclusione del più debole trasformando di fatto il povero e l’emarginato nel contraltare del ricco e della persona di successo. La vittoria di questa ideologia (neo-liberista) ha così eroso fortemente le tradizionali culture italiane del cattolicesimo e del comunismo che avevano invece sostenuto l’affermazione di un sistema di welfare volto a costruire ancore di salvezza per le persone in difficoltà e in questo modo aveva contribuito a creare un volano per lo sviluppo. Ieri questo sistema di welfare era salutato come tratto caratteristico dello sviluppo europeo, e italiano; oggi per una buona parte di opinione pubblica è ritenuto invece un costo da tagliare (scuola, servizi sociali e salute pubblici).
    Il vero problema è, come dici tu, che gli eredi delle classi dirigenti locali della prima repubblica non sono capaci oggi di elaborare valori adatti alla società contemporanea e declinarli concretamente in un nuovo modello di sviluppo, alternativo al capitalismo americano e capace di portare avanti ciò che di buono è stato costruito in passato.
    Dobbiamo prendere atto del fatto che noi italiani non siamo americani, non traiamo la nostra forza dalla competizione sfrenata dell’uno contro l’altro, dal mito del self-made-man che solo contro tutto e tutti trova il successo. Anche gli eroici piccoli imprenditori che sono la spina dorsale della nostra economia fecero fortuna anche grazie ad una solidarietà sociale ed economica capace di sorreggerli nelle loro imprese: incentivi, sgravi, buoni rapporti sindacali, sostegno dalle associazioni di categoria, sacrificio dei lavoratori, senso della comunità ecc. ecc. Alla base della crisi italiana c’è, a mio parere, lo smarrimento di questi valori e la mancanza di una guida se non forte almeno riconosciuta grazie alla quale stabilire una direzione e una possibilità di sviluppo per tutti, insomma un orizzonte.
    La cura è già indicata nel tuo articolo: tornare a considerare le persone impoverite dalla nostra società con la dignità che si deve rivolgere ad ogni essere umano, perché nella maggior parte dei casi sono state escluse dall’accesso al benessere. E in campo economico come delle risorse per lo sviluppo della comunità locale e del paese, e non come dei pesi di cui liberarsi.
    Se riusciremo a costruire questo nuovo senso della comunità allora le nuove periferie sociali si trasformeranno in bacini di sviluppo e in comunità vive. Se invece proseguiremo in questo declino allora si acuiranno le diseguaglianze e i nuovi poveri diventeranno meno invisibili e sempre più oggetto di discredito sociale. Siamo noi, nel bene o nel male, come cittadini che decidiamo in che direzione andare scegliendo chi votare. E se non avremo il coraggio di mettere in discussione chi ci governa male anche nelle amministrazioni di centro-sinistra, anche rischiando e decidendo di dare il nostro consenso a forze meno radicate, ma portatrici di cambiamento, allora non saremo capaci di fermare questa deriva e tornare ad essere orgogliosi di essere emiliani-romagnoli e italiani.

  3. Andrea says:

    Articolo veramente bello (purtroppo), un piccolo manuale del buon senso amministrativo. Grande Mario!

  4. Ernesto Rossi says:

    Intanto va chiarito che i “poveri” non sono altro dagli altri. Le classificazioni marxiste non sono più valide da molto tempo. Ci sono i lavoratori-consumatori e i disoccupati divisi rispettivamente in altre due sottogruppi i disoccupati-consumatori e i disoccupati-immondezzati. Ovvero è l’intero sistema di economia pubblica e privata nel suo insieme che permette alla stragrande maggioranza di illudersi di lavorare, mentre in realtà è solo un -occupato- con diritto/dovere al consumo, che gli permetterà di continuare a lavorare e a consumare; tutto questo in relazione al Suffragio Universale, controllabile grazie alla “raccomandazione”. Quindi gli occupati sono tali proprio perchè hanno dovuto operare una scelta se lavorare o andare all’elemosina. Quindi le Mense dei Poveri, sono solo lo spauracchio con cui i dirigenti tengono in ostaggio tutti il resto della cittadinanza. Non vedo soluzioni senza una chiara presa di coscienza riguardo a questo punto da parte degli occupati. Quindi per lenire, semplicemente lenire questa situazione è possibile aprire mense a gestione pubblica, escludendo aprirori le mense Caritas, della Chiesa e private in ogni caso. Inoltre ci vorrebbe una vera e propria taskforce pubblica che ascolti e decida quale operazioni siano necessarie per i singoli cittadini che dovessero avere bisogno di simili aiuti. Se di aiuti vogliamo parlare, mentre in realtà si tratta di veri e propri lager per innocenti a gestione pseudocaritatevole da parte della Chiesa e di volontari ignoranti più di un asino. L’obiettivo minimo sarebbe quello di offrire un pasto decente e sufficiente a chi ne fa richiesta, in una fascia oraria compatibile con quella degli altri cittadini. Ovviamente sarebbe interessante specialmente al Nord se queste -mense- venissero organizzate dai Comuni e gestite popolarmente e finalizzate ad offrire una possibilità in più a tutti i cittadini, che potrebbero così utilizzare un servizio più economico che il farsi cucina a casa propria… Solo alcuni, in realtà poche decine potrebbero rientrare a bonus, recuperando la spesa dalle cifre versate da tutti gli altri occupati-consumatori. Con 4 euro anche meno, è possibile mangiare convenientemente, in ogni parte d’Italia. Naturalmente vanno affrontati i singoli problemi, che nella maggior parte dei casi presentano solo episodi di handicapp spesso uniti ad anzianità, persone dunque che vanno assistite effettivamente e non con 280 euro mensili e nulla più. Resterebbero chi ha problemi di gioco? Beh possono sempre andare al ristorante comunale e pagare come tutti gli altri, prima di dar da mangiare ai cavallini… Allo stesso modo verrebbero fuori dei problemi che risultano nascosti ma, prorpio sotto il tappeto, gli stranieri che se non fosse per le Mense Caritas come farebbero? E anche se “fanno” lo stesso usufruiscono e ingolfano grandemente le file di queste… Tutti ottengono occupazioni anche part.time ma mai gli avventori delle Mense… Tutti i delinquenti ottengono loro malgrado lo status di occupati mai un solo avventore delle Mense… Per ora mi fermo quì, di certo queste persone necessitano di un gruppo di persone che faccia venir fuori queste cose, mi ripropongo dunque di informarvi anche meglio se lo vorrete e se c’è qualcuno disponibile ad agire per rendere più umano il lager della povertà. Non hanno bisogno i poveri di altre persone che lucrano o guadagnano grazie a “loro”; come la Chiesa, la Caritas che è uguale, gli psicologi così occupati anche loro, i sociologi così occupati anche loro, gli assistenti sociali gli unici disoccupati che abbiano trovato un lavoro, le infinite associazioni di volontariato che risucchiano milioni di euro di finanziamenti pubblici, altro che risicare 10 o 20 mila euro dal Consiglio Comunale, come così su due piedi consiglia l’autore del pezzo. Milioni di euro vengono didtribuiti dalle Provincie a queste associazioni, se hanno bisogno che vadano a mangiare alla Mensa Comunale e non trasformino altri in poveri per poter campare così alle loro spalle.

  5. admin says:

    Buonasera Sig. Rossi, sono l’autore del pezzo che così su due piedi consiglia di risicare 10 o 20 mila euro dal Consiglio Comunale.
    Ho molto apprezzato il suo lungo ed esaustivo intervento, pur non condividendone larga parte. Mi piacerebbe riportare il ragionamento all’interno dello spirito dell’articolo.
    La riflessione parte da un documento della Caritas (ho inserito il link) che analizza i dati in loro possesso sui disagi sociali (se proprio non vogliamo chiamarla povertà) emergenti nella mia città.
    Deve essere chiaro che non faccio il tifo per la Caritas in quanto istituzione, ma apprezzo l’azione che tende a mitigare i problemi presenti sul territorio.
    Chi svolge azioni meritorie a favore dell’uomo deve essere appoggiato, questo è il senso del richiamo: Chiesa, volontariato, partiti, destra, sinistra senza distinzione devono lavorare per gli uomini.
    Per intervenire servono risorse e, su questo punto, i nostri pensieri divergono.
    Lei presenta un’analisi di sistema sulla quale non ho nulla da obiettare, se non che mi sembra piuttosto utopica come tempi di realizzazione.
    Lei critica, con tante ragioni, il sistema, io mi pongo il problema di lenire nell’immediato le storture del sistema.
    Per fare questo (lenire gli effetti) basterebbe la buona volontà del mondo politico e, nello spazio di pochi giorni, si potrebbero liberare risorse importanti sul e nel territorio.
    La proposta di spostare il Consiglio Comunale in orario serale fa parte del programma di una lista civica, alla quale appartengo, che in campagna elettorale si era impegnata alla riduzione dei costi della politica. E’ una proposta figlia del buon senso che non ha ottenuto la maggioranza in Consiglio…….purtroppo.
    Queste sono azioni dove è sufficiente guardarsi negli occhi e dire si, se veramente si vuole bene ai nostri simili.
    Obiettivi minimi, ma immediati, questo dovrebbe essere il filo conduttore della politica.
    Le voglio fare un ulteriore esempio: nei bilanci di tanti comuni è presente una voce che trovo vergognosa, ovvero il 7% degli oneri di urbanizzazione secondaria vengono destinati alla manutenzione degli immobili della Chiesa Cattolica e della Chiesa dei Testimoni di Geova.
    Sono risorse che vengono tolte alla socialità per destinarle ad enti religiosi.
    Sicuramente troverà il comportamento scandaloso, ed io con lei, ma su questa destinazione, almeno ad Imola, era d’accordo anche Rifondazione Comunista.
    Come vede, pur nel disaccordo, ho trovato estremamente stimolante il suo intervento.
    Scriva e/o comenti ogni volta che vuole su Pensieri Democratici perché è dal confronto che nascono le idee migliori.
    Saluti
    Mario Zaccherini

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