Elezioni politiche: Che cosa è successo? E perché? By Enrico Monaco

Quando ho visto i risultati di queste elezioni politiche la prima cosa che ho provato è stata un senso di vuoto. Il recupero di Berlusconi e la non-vittoria del centro-sinistra mi davano l’idea per l’ennesima volta di assistere ad un film già visto. Poi parlando con altri ho toccato con mano il disappunto, la rabbia, l’esaltazione, la paura e la speranza di tanti. Insomma sentivo attorno a me sentimenti contrastanti e difficilmente decifrabili. Pertanto mi sono chiesto cosa fosse successo e perché, per cercare una spiegazione a questa svolta della politica italiana. E il risultato di questa riflessione è il seguente.

Queste elezioni sono state molto più che uno scontro politico, sono state una guerra fra modelli culturali. Il centro-sinistra ha cercato di mettere in campo un’idea di moralità, di austerità e di giustizia sociale: Bersani si è proposto come leader rassicurante, onesto e rigoroso, incapace di mentire e di fare promesse irrealizzabili, ma pronto ad affrontare la crisi senza negarla. Berlusconi invece si è mostrato combattivo e pratico, puntando a far dimenticare la sua precedente azione di governo, aiutato dal fatto che nessuno ne abbia chiesto conto. Lanciando sulla scena politica proposte concrete e mirabolanti, semplici e comprensibili ha puntato a riconquistare il suo elettorato deluso e a convincere gli indecisi. In questa chiave la moralità di Bersani è stata dipinta come un ostacolo al successo dell’individuo e delle imprese, l’ultima trovata del centro-sinistra per alzare ancora le tasse e continuare la politica di austerità di Monti.

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La campagna di Berlusconi invece è stata condotta in modo fulmineo e moderatamente violento: la lotta contro la magistratura, contro l’assetto legislativo e la tassazione del nostro paese ha voluto sottolineare come fosse necessario mettere i cittadini nelle condizioni di poter operare liberamente per creare ricchezza, e questo non poteva accadere con il peso di uno Stato oppressivo sulle spalle. Le lettere con la promessa di restituzione dell’Imu hanno fatto il resto, convincendo molti a dare fiducia a proposte che in passato non trovarono riscontro. Insomma vecchi modi e vecchi slogan, ma utilizzati alla perfezione.

In questo quadro si è poi abilmente inserito Grillo proponendo una vera e propria Terza Via: un’Italia dinamica, giovane e tecnologica capace di perseguire il bene comune e rinnovare il paese, con la distruzione della Casta politica e la sostituzione di questa con una classe dirigente fatta di persone comuni e lontane dalle logiche di potere. Insomma una sintesi di alcuni elementi positivi delle altre due culture politiche (la moralità propria della sinistra e la dinamicità tipica della destra) declinate in un nuovo modello ideologico nascente. Questo scontro culturale non si è giocato nel confronto sui programmi, ma è avvenuto prevalentemente in televisione: i tempi e i toni della campagna elettorale sono stati dettati da una parte da Berlusconi, che tra lo show da Santoro e i colpi di scena con il Condono Tombale ha puntato a conquistare l’elettorato a colpi di promesse; dall’altro Grillo con il suo Tsunami Tour ha conquistato le piazze, concorrendo da solo o quasi su un vecchio campo elettorale, attraverso cui ha costruito una narrazione semplice e di forte impatto capace di catalizzare la rabbia di molti elettori in favore del suo progetto politico. In questo modo è riuscito a proporsi come forza anti-sistema che rifiuta le logiche di compromesso della politica e i suoi luoghi di confronto (la televisione), ottenendo allo stesso tempo grazie ai media di trasferire il suo messaggio “confezionato” anche nell’arena televisiva. La scelta di tenere il focus su Grillo ha avuto l’effetto di oscurare i candidati del Movimento 5 stelle, che durante i comizi hanno avuto poco spazio per presentarsi agli elettori e allo stesso tempo di sottrarsi al confronto con gli altri schieramenti e con i giornalisti, tattica già usata da Berlusconi. Il risultato è che tra qualche giorno siederanno in Parlamento anche eletti del M5S che molti italiani non conoscono, e alcuni di questi hanno addirittura parentele dirette (Ivana Simeoni, la mamma, in Senato e il figlio Cristian Iannuzzi alla Camera, solo per citarne una). Da qualche intervista rilasciata nel post-elezioni infatti emerge la poca preparazione di alcuni di loro, pena che si sconta quando si costruisce un movimento che rifiuta il confronto con gli altri e si appoggia molto sul carisma del proprio leader:

http://www.youtube.com/watch?v=aKnt7mR6Swg

Bersani e Monti invece si sono trovati ad inseguire: il primo conducendo una campagna debole sul piano dei contenuti, schiacciata dall’esigenza di tenere insieme due linee inconciabili: l’austerità voluta dall’area moderata del Pd e il rilancio dell’investimento diretto dello Stato proposta dall’area progressista di Fassina e da Sinistra Ecologia e Libertà. Questo ha condotto ad una proposta politica fumosa e poco comunicativa (vi ricordate una singola proposta di riforma fatta dal leader del centro-sinistra?). Monti da parte sua ha cercato goffamente di imitare Berlusconi con battute malriuscite e la presentazione del suo lato umano, che ha fatto più ridere i frequentanti di Twitter che scaldare i cuori dei suoi elettori. Quando poteva parlare di contenuti, ha preferito attaccare Berlusconi sul piano personale, perdendo così il suo ruolo di garante super-partes e la credibilità istituzionale che si era costruito  durante il suo governo (meritatamente?), ritagliandosi una posizione in Parlamento secondaria (circa 10%). Tutto questo ha determinato un recupero straordinario della coalizione di centro-destra, che a dicembre del 2012 era ferma al 18%, ed è poi arrivata poi al 29,5% alla Camera e al 30,07% al Senato. Oltreché ad un’affermazione del Movimento 5 stelle al di sopra delle aspettative, che lo sottostimavano tra il 15% e il 18% a febbraio, mentre poi si è imposto con il 25,5% alla Camera e il 23,8% al Senato. Un ulteriore elemento che a mio parere ha favorito la coppia Grillo/Berlusconi è stata la definitiva personalizzazione della politica realizzatasi in questo appuntamento elettorale. Abbiamo sentito parlare in televisione quasi esclusivamente i leader dei vari schieramenti, senza che venisse lasciato spazio ai dirigenti dei partiti e dei movimenti. E vorrei sottolineare che i candidati hanno condotto una campagna elettorale in solitaria senza mai confrontarsi pubblicamente fra loro, per dare modo ai cittadini di farsi un’idea precisa: sarà forse anche per questo che fino all’ultimo il numero degli indecisi è stato molto alto? Tutto ciò ha spinto gli elettori a valutare le coalizioni più sulla base delle qualità personali dei loro leader che sui programmi. Pertanto l’incapacità di Bersani e di Monti di spostare il focus sui contenuti e di costruire una narrazione concreta capace di indicare una visione chiara del loro progetto politico lì ha sfavoriti, esponendoli agli attacchi mediatici degli altri leader e agli scandali da campagna elettorale (Mps). Bersani ha così puntato sul lavoro, senza riuscire a spiegare chiaramente come creare occupazione o mettere mano alle relative leggi. Ha proposto di difendere e aumentare i diritti dei cittadini, ma non è stato chiaro nel spiegare come l’avrebbe fatto. Dall’altra parte Berlusconi ha puntato tutto sul tema fiscale, tradizionalmente più caro agli italiani (forse perché quando si guarda la busta paga o la pensione è molto chiaro quanti soldi ci sono e dove sono finiti quelli che hanno tolto).

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Promettendo la restituzione dell’Imu versata nel 2013 e un condono tombale il leader del centro-destra è così riuscito a presentare una proposta minima, ma molto concreta che ha intercettato il voto di molti cittadini stremati dalla crisi economica e così disillusi dalla politica da optare per il loro interesse personale piuttosto che per un progetto di lungo respiro. Queste proposte hanno fatto breccia nelle zone del paese dove è più alto il tasso di disoccupazione e la presenza dello Stato è spesso ridotta, specie al Sud dove il centro-destra. (A proposito) nella parte bassa dello stivale si sono verificati fatti che risultano curiosi come i rilevanti consensi riscossi dalla Lega Nord in queste zone. Questo partito che ha presentato un programma nordista (slogan: Prima il Nord!) ha riscosso consensi anche al Sud: in Campania 8.830 voti (Camera), in Calabria 2.205 voti (Camera) e in Sicilia 4.750 voti (Camera). Dopo gli scandali che hanno investito il partito di Maroni, e il legame con l’andrangheta nella “civilissima” Lombardia ipotizzato dalla Procura di Milano, viene il dubbio che questi non siano voti proprio puliti. In ogni caso di fronte ad una proposta aleatoria e una concreta (per quanto truffaldina o poco credibile) in questi anni pare che gli italiani scelgano spesso la seconda, e con questa realtà bisogna fare i conti. La riprova di ciò sta anche a mio parere nel successo delle proposte di Grillo, che propone il taglio dei costi della politica e degli sprechi senza indicare con precisione dove tagliare, promette di rinsaldare il welfare state e non dice come intende farlo, e nonostante ciò ha conquistato una buona fetta dell’elettorato di centro-sinistra stanco dell’ambiguità e della staticità del Partito Democratico. Austerità e onestà si sono così infranti distruggendosi contro l’individualismo e la rivolta anti-sistema. In questo quadro a poco sono serviti il sostegno di Renzi, usato per arginare l’incapacità comunicativa di Bersani, e di Vendola che in mancanza di un progetto concreto di largo respiro si è trovato a condurre una campagna elettorale di contorno, subendo così pesanti perdite di consenso: trascinato giù dall’inconsistenza di Bersani, dalla concorrenza del Movimento 5 stelle e di Rivoluzione Civile.

Questa tornata elettorale è stata sorprendente perché i partiti tradizionali (Pd, Pdl) hanno perso moltissimi consensi: il Pdl ha subito un’emorragia di circa 6 milioni di voti, passando dal 37,4% nelle elezioni del 2008 al 21,6% (meno 15,08%). Il Pd invece ha perso circa 3 milioni e mezzo di voti, passando dal 33,2% ottenuto da Veltroni al 25,4% (meno 7,08%). Ciò significa che i due principali partiti non sono stati capaci di intercettare la domanda di cambiamento, che ha trovato ugualmente una forma di espressione concreta: il Movimento 5 stelle, e in parte minore il partito di Monti. Ciò è accaduto perché il centro-destra non è stato capace di affidarsi ad un nuovo leader e superare la stagione berlusconiana, subendo così la concorrenza del Professore e di Grillo. Il centro-sinistra invece è riuscito rinnovarsi grazie allo strumento delle primarie a livello territoriale (vedi la vittoria di Pisapia, a Milano, Doria a Genova, De Magistris a Napoli ecc.), ma non ha fatto lo stesso a livello nazionale. In quest’occasione la vecchia classe dirigente del Pd tutta si è stretta attorno a Bersani, isolando Renzi, per conservare la propria rendita di posizione. La domanda di rinnovamento si è così scontrata con la resistenza conservatrice nelle primarie nazionali, che hanno visto preferire ai più dinamici e moderni Vendola e Renzi, l’usato sicuro di Bersani. Questa scelta non ha consentito di rinnovare i vertici del Partito Democratico, spingendo molti di quelli che volevano un cambiamento netto a scegliere Movimento 5 stelle nell’urna, o a rimanere a casa. Ora ci troviamo un Parlamento senza maggioranza, all’interno del quale potrebbero prendere forma diverse ipotesi. Un governo Pd, Sel, Centro Democratico con l’appoggio esterno del Movimento 5 stelle, che avrebbe l’incarico di realizzare alcune riforme prima di tornare al voto: soluzione questa che dipende dalla disponibilità di Grillo e dei suoi parlamentari di arrivare ad una mediazione sulle singole proposte e dalla stabilità del centro-sinistra. Oppure si profila un governo di grande coalizione Pd, Pdl e Monti che vedrebbe all’opposizione Sel, Lega e Movimento 5 stelle. Questo rende probabile un vicino ritorno alle urne, e una possibile vittoria di Berlusconi o del Movimento 5 stelle. Quindi sarebbe auspicabile nell’interesse del paese, visto che gli speculatori bruciano miliardi in borsa grazie alla situazione frammentaria del quadro politico, che il centro-sinistra e il M5S trovassero un accordo in Parlamento dimostrando da ambo le parti responsabilità e intelligenza. Oltre a questo il Pd non può sottrarsi dalla constatazione del fallimento della sua classe dirigente di vertice, alla quale deve seguire un completamento del processo di rinnovamento già chiesto dagli elettori: occorre cambiare personale e linea politica anche ai piani alti. Se questo non dovesse avvenire, prevedo un ulteriore sfondamento del Movimento 5 stelle nelle file del centro-sinistra, a beneficio di Berlusconi. Chiudo dicendo che ora il Movimento 5 stelle è diventato un partito perché ha i suoi onorevoli in Parlamento: vedremo se si dimostrerà una forza politica capace di creare concretamente cambiamento o se preferirà chiudersi in una posizione antagonista e autoreferenziale giocando allo sfascio del paese. Gli elettori hanno detto la loro e giudicheranno le loro scelte. Ora la parola tocca a Bersani e a Grillo che devono decidere il da farsi. Vedremo cosa accadrà.

Enrico Monaco

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  1. johnny siganza says:

    condivido l’analisi.
    in pieno.
    i dirigenti del PD devono fare un passo indietro.
    chi ha votato Bersani alle primarie però, non è solo chi si è stretto intorno all’usato sicuro per mantenere una rendita di posizione (io ad esempio l’ho fatto in un comune dove la rendita di posizione ce l’aveva chi votava Renzi a conti fatti).
    C’è chi ha votato Bersani perchè ha creduto e ancora crede in un progetto serio di rinnovamento graduale dove la proposta di Renzi, almeno a mio avviso, rappresentava un “refresh” della scatola, ma arrivava a mettere contenuti figli del blairismo e del new labour che sono già stati sperimentati ed in alcune parti pienamente sconfessati dall’attuale stallo economico.
    Paradossalmente la proposta di Renzi somigliava tantissimo alla proposta di D’Alema della fine degli anni ’90, con a mio giudizio, l’aggravante di essere poco specifica.
    Tuttavia è vero anche che la carta d’intenti PD-SEL è e resta fumosa su una serie notevole di punti, che dovevano essere sciolti in campagna elettorale e che non sono stati sciolti per l’atavica paura delle alte dirigenze di spaccare il Partito. (rischio reale in caso di vittoria di Matteo Renzi)
    L’unica soluzione è per me una sintesi tra le due “corsie”, un rinnovamento netto e secco dei quadri dirigenti che devono definitivamente capire di aver fatto il loro tempo ed un ritorno alla politica dal basso e concreta, coordinata da una nuova classe dirigente intermedia, su cui l’alta direzione della nostra organizzazione deve poggiarsi rendendo conto dei privilegi che ha sempre avuto e rinunciandovi.

    La grande scommessa, oltre a questo poò di roba già di per se difficile da fare, è ora quello di fermare la deriva eversiva di una parte, a parer mio non ancora maggioritaria, di quella frangia di 5 Stelle intenzionata a sciogliere i partiti e superare il modello della democrazia parlamentare. I rischi esistono e sono sotto gli occhi di tutti.
    Continuare a pestare sul M5S rischia di renderlo ideologico, quando invece moltissima gente l’ha votato perchè non ce la fa più e perchè non sente il suo destino condiviso dalla classe politica.

    Solamente la condivisione degli stessi problemi ci salverà e restituirà fiducia. Sempre che siamo ancora in tempo per farlo. Sennò ci aspettano lunghi, lunghissimi anni bui, in cui verrà spazzata via ogni forma di confronto, dialettico ed ideologico (perchè le ideologie esistono ancora eccome) per come l’abbiamo conosciuta con un potenziale rischio per l’assetto non più solo economico, ma istituzionale dell’Italia.

  2. johnny siganza says:

    scusa la grammatica oscena. ma ho scritto ai duemila che devo uscire. :D

  3. Piero says:

    Come sempre sei chiaro ed obiettivo, la tua analisi la condivido in pieno…..ora è tempo che i partiti mettano da parte gli insulti ed inizino a lavorare davvero!

  4. Hagen says:

    Analisi interessante. Espongo di seguito alcune considerazioni che mi girano in testa dalla terribile serata di Lunedì (ma in alcuni casi anche da prima). Domando scusa in anticipo se il tutto risulterà dispersivo o poco organico.
    Innanzitutto, alcune considerazioni sul voto a Grillo, che da Martedì mattina si cerca di “vendere” come in gran parte voto sfuggito a noi PD in direzione “sinistra”. Personalmente non sono d’accordo. Ho sentito (letto) argomentare che il voto “piddino” a Grillo sarebbe un voto “di sinistra” attratto dal suo programma economico, definito “di estrema sinistra”. A parte che mi riesce difficile vedere un voto “di sinistra” dirigersi verso un candidato che aveva fatto la proposta di abolire i Sindacati, e che a livello di diritti civili aveva un programma decisamente poco “di sinistra”, vorrei ricordare che fino a Luendì mattina l’opinione prevalente (almeno entro il PD) sembrava connotare il voto a Grillo come tendenzialmente “di destra”. In realtà, io ritengo che il voto a Grillo abbia in generale ben poco di ideologico. Proprio questa è stata secondo me la grande forza di Grillo: coagulare intorno a sè un voto incredibilmente vario (ogni “grillino” sembra aver votato Grillo per un motivo diverso) e che dubito possa essere inscritto sotto l’egida di una omogeneità ideologica, unificandolo sotto il manto della rabbia e della protesta contro un sistema visto (e poi fatto percepire da Grillo) come “irredimibile”, impossibile a riformarsi e rinnovarsi da solo senza un potente “scossone” assestato da fuori. E parlando di PD e rinnovamento, si sa, si giunge inevitabilmente a citare Matteo Renzi.
    Renzi, già. Fin da martedì mattina viene ripetuto a stufo (in alcuni casi anche preventivamente…) che non esiste la prova provata che Renzi avrebbe vinto. Benissimo; ma esiste decisamente la prova provata che Bersani ha perso. Tradotto, se non è comprovabile che Renzi fosse l’uomo giusto, risulta però (ahimè!) comprovato che l’ottimo Segretario, per il quale provo stima e rispetto (ma che non mi ha mai convinto abbastanza da appoggiarlo in sede di Congressi/Primarie, avendo io scelto prima Franceschini e poi Renzi), era decisamente quello sbagliato. Questo, senza nulla togliere al suo valore personale (che ha dimostrato a suo tempo come Ministro). Questo ci porta ad una considerazione interessante: Bersani è stato scelto dalla maggioranza (55-60% circa) di un “popolo delle Primarie” di 3 milioni di elettori, che sono la parte più “interna” e coinvolta del popolo del PD, valutato alla luce dei numeri di Lunedì in circa 8 milioni. Il fatto che questo popolo delle Primarie, di fatto “la base” del PD, abbia scelto un candidato che è poi risultato non nelle corde del Paese, fa sorgere una terribile impressione: che il “popolo delle Primarie” NON SIA IN LINEA col Paese. Il che, in un Partito che aspira a governare, e quindi a rappresentare il popolo, a me pare molto, molto grave.
    Ma Renzi avrebbe vinto? Non lo so. Non ho prove al riguardo; ma gli indizi in proposito li ho raccolti da più parti. Premetto che sono totalmente in disaccordo con la teoria che un eventuale Renzi vincente alle Primarie e candidato Primo Ministro avrebbe portato alla spaccatura del PD; questo perchè ho TROPPA STIMA e TROPPA FEDE nel progetto PD per ritenerlo così fragile da spaccarsi sul leader. Anche perchè sottesa a questa considerazione c’è l’idea che Renzi sia fondamentalmente di destra, il che, alla luce di quanto accaduto dopo le Primarie, si è provato essere una BUBBOLA (perdonatemi, ma quando ci vuole ci vuole). Nè crederò mai che Renzi vincente alle Primarie avrebbe allontanato l’elettorato tradizionale; semplicemente perchè l’elettorato tradizionale del PD vota il simbolo più che la faccia (semmai vota il simbolo nonostante la faccia). Sostenere che un elettore tradizionale PD non avrebbe votato Renzi equivale a sostenere che non avrebbe votato una colonna portante del PD come Dario Franceschini. Assurdo, almeno per me. Di contro, mi sono imbattuto giusto in questi giorni nell’incredibile caso opposto: una persona (giovane) che aveva sempre votato PD, che ha sostenuto Renzi per il rinnovamento, e che, non avendo avuto ciò che chiedeva, ha votato… altro (in privato dirò anche cosa). Ma le voci in tal senso sono state parecchie; dette a viva voce, trovate sul web. Elettori avvicinati per la prima volta da Matteo Renzi al PD che al seggio dicono ad uno dei presenti: “Io alla fine ho votato voi lo stesso; ma non sai quanta gente vi avrebbe votato se aveste candidato Renzi”; o: “Io vi voto oggi per la prima volta, ma ho fatto voto disgiunto al Senato; se aveste candidato Renzi vi avrei votati anche lì”. Solo singole voci, solo indizi, ma significativi. A questo si aggiunga un numero, imprecisato ma non piccolo, di elettori “potenziali” che non hanno partecipato alle Primarie ma avrebbero votato PD in caso di vittoria di Renzi, ma che non sono stati disposti a votare un Renzi non candidato a nulla e messo lì solo per “portar acqua” al mulino di un Bersani percepito come troppo legato al mondo post-comunista per essere disposti a votarlo. Stanti così le cose, non posso impedirmi di pensare a Matteo Renzi come una grande occasione mancata. Quella mancata promessa di rinnovamento, sostituita dalla “ruota che gira” del rinnovamento graduale del Segretario, non ha potuto contrapporsi alle fortissime sirene di rinnovamento radicale suonate da Grillo.
    Ma Bersani aveva il sacrosanto diritto di candidarsi, avendo vinto le Primarie. Già, le Primarie: un’altra magnifica occasione sprecata. Perchè vissuta nell’ottica triste della paura.
    Mi spiego: le Primarie sono state vissute da molti, nel PD, nel segno di una “sindrome da accerchiamento”, quella dell’”inquinamento” del risultato da parte di elettori di destra. Questo in un momento in cui i Partiti di Centrodestra erano al loro minimo storico, incapaci di mobilitare le molte migliaia di militanti necessari a spostare il risultato in modo significativo. Questa paura ha portato a vedere in qualunque elettore “esterno” non un potenziale elettore acquistato (vale a dire, quell’elettore che tutti i Partiti di Governo in Europa cercano di convincere), ma come un pericoloso “sabotatore”. Il che ha portato alla situazione paradossale vista al secondo turno delle Primarie: migliaia di elettori potenziali (che non avevano votato al primo turno per fatti loro) sono venuti SPONTANEAMENTE alle Federazioni PD; e qui, invece che le porte d’oro che i Partiti dovrebbero aprire agli elettori, si sono trovati ad attenderli delle “commissioni d’inchiesta” (!!!) che mettevano in dubbio la loro buona fede (!!!), chiedendo loro la “giustificazione”, come a scuola (!!!), e che alla fine ne hanno respinta la gran parte (!!!!!!!). In tal modo, sotto la spinta congiunta della “sindrome d’accerchiamento” e della venerazione per la lettera del regolamento (invece che per la sua funzionalità), il PD è diventato il primo Partito al Mondo che, a due mesi dalle elezioni, HA RIFIUTATO DEGLI ELETTORI POTENZIALI!!! COMPLIMENTI! Alla luce di questo, ci si domanda non come abbiamo potuto perdere, ma come abbiamo potuto stupirci di aver perso…
    Ed eccoci alla conclusione, ossia che Lunedì abbiamo ricevuto lo schock che sappiamo. Uno schock non abbastanza forte, però: perchè il giorno dopo, puntuale, è giunta per bocca di Stefano Fassina (P.S: Fassina progressista? Fassina è un conservatore; di sinistra, ma conservatore) la frase fatidica: “L’elettorato non ha capito”. Sempre lei, ancora lei. La frase autoconsolatoria ed autoassolutoria che ogni volta che perdiamo ci spinge a NON interrogarci sui nostri errori e, chiaramente, a perdere di nuovo. Nè mi ha confortato sentire poco dopo Matteo Orfini parlare (ANCORA!) di rincorsa “a sinistra”, nonostante i risultati di SEL e Rivoluzione Civica non lasciassero adito a dubbi su quello che l’elettorato pensi della “sinistra radicale”.
    Tutto questo per dire cosa? Che noi PD dobbiamo farci un bell’esame di coscienza; perchè abbiamo perso 8 punti percentuali in 5 anni e, continuando così, alla prossima saremo al 17%, e francamente eviterei. Il PD ha una sola scelta davanti a sè: EVOLUZIONE o ESTINZIONE. Sarà meglio che ci sbrighiamo ad intraprendere quanto prima la strada dell’evoluzione

  5. Hagen says:

    Mi sono accorto di un refuso: “Rivoluzione Civile”, non “Rivoluzione Civica”

  6. Grazie a tutti per i commenti. Noto un certo schiacciamento sul tema Pd, che sarebbe bello superare un attimo, ma non subito. Qui abbiamo due esponenti, uno pro Renzi e l’altro pro Bersani, a cui vorrei chiedere di rispondere sul vostro programma politico. Sì, ci sono state le primarie, con tutto ciò che è accaduto. Sì, c’è tanta gente che dice “se ci fosse stato Renzi avremmo vinto”. Ma non pensate che ci sia stato anche un grosso problema nel cercare di conciliare l’austerità con l’investimento economico? Cosa farete ora, come cambierà la linea? Questo forse in molti vorrebbero sapere. Poi per stare sul tema primarie io vi inviterei a fare delle primarie davvero aperte (con le ultime c’è stato un miglioramento che non è bastato) e poi vediamo chi vince, forse non Renzi, nè Bersani. Altra cosa, non vi chiedete perché molte persone che non se la passano bene hanno votato Grillo, la Lega Nord o Berlusconi? Questi voti persi sistematicamente non vi impensieriscono, non vi interessano? Sarà forse che questi partiti riescono a coinvolgere di più quel tipo di elettorato anche parlando alla sua pancia? Voi siete capaci di parlare alla pancia delle persone, o non si può perché è da populisti e da demagoghi? Berlusconi come ha fatto a prendere così tanti voti? Avete delle risposte? Quali sono? Per favore diteci, voi del PD, qualcosa sulle elezioni, qualcosa sul paese, non sempre e solo qualcosa sul Pd.

  7. Gianni Suzzi says:

    La sintesi di tutto questo secondo me è una sola:
    Agli Italiani piace illudersi e mettere la testa sotto la sabbia. Fondamentalmente siamo un popolo si Centro Dx che pur di non votare a SX preferisce sperare in qualche cosa che da 20 anni non si è ancora realizzato e mai succederà.
    Posso pure ammettere che persone della mia età possano essere fuorviate da promesse irrealizzabili fatte da berlusconi; non ammetto invece che costui venga votato da giovani ragazzi precari. Il discorso dei 5 Stelle è chiaramente un voto di protesta nella speranza che così possa cambiare la politica e la sofferenza del nostro paese; questi ragazzi carichi e motivati mi ricordano vagamente la mia gioventù quando nel 1968 si credeva di cambiare il mondo trasgredendo alle regole che erano esistite fino a due anni prima che qualche cosa si hanno cambiato ma non quello che si sperava. Un aneddoto che dovrebbe fare pensare. Quando giovane imprenditore con altri due miei coetanei costruimmo con sacrifici uno stabile dove produrre; il costruttore consegnandoci le chiavi ci disse ” ora lo stabile c’e’ ma ora viene il difficile perchè dentro a questo capannone dovrete produrre”…………..i grillini ora sono in parlamento e dovranno assumersi la propria responsabilità aiutando e costringendo se fosse il caso, le altre forze che si opponessero, a produrre buone leggi per cambiare questo paese una volta per tutte.

  8. Hagen says:

    Enrico (Monaco), se avessi voluto rispondere davvero a tutti i punti che hai esternato qui (una tentazione che pure mi era venuta iersera) la mia replica avrebbe superato di parecchio in lunghezza l’articolo. E’ probabilmente vero, come dici, che noi del PD tendiamo ad essere autoreferenziali (non tutti, per fortuna); ed è una cosa che mi preoccupa eccome, così come mi preoccupano moltissimo i voti che perdiamo sistematicamente come hai giustamente detto. Ed è proprio per questo, in realtà, che ho parlato soprattutto del PD e dal punto di vista di un militante ed elettore del PD: forse l’errore è stato proporre su questo tipo di piattaforma quello che era in realtà un invito ad un esame di coscienza sui nostri errori, che però (in seconda battuta) deve portare proprio a porci gli interrogativi che poni tu: perchè perdiamo voti? perchè proprio verso quei partiti? come fare a ricuperarli? E via discorrendo, Quindi, una volta tanto, NON ritengo di aver peccato di autoreferenzialità, dato che la mia personale riflessione è appunto propedeutica a quella più ampia che tu proponi. Per capire le elezioni bisogna parlare delle elezioni, sono d’accordo; ma per salvare il PD (che è cosa che mi preme molto), perdonami, ma devo necessariamente interrogarmi sul PD

  9. Gabriele Guaitoli says:

    Innanzitutto risponderei ai due ragazzi che han parlato di PD: il PD è un partito ambiguo, e per questo ha perso molti voti. È un cartello elettorale, perché mette insieme idee che non possono essere sintetizzate efficacemente se non impoverendo l’offerta politica. Che non sa più, o non vuole, fare cultura (la base per farsi votare per le idee, e non perché si è ritenuti i “meno peggio”).

    Il meno peggio è diventato il m5s, votato dai meno informati/ideologizzati/più schifati, mentre il voto dei più socialdemocratici e radicali (parlando soprattutto di giovani) è finito su SEL e RC, che se hanno raccolto appena 1/7 dei consensi di “area”, tra i giovani che hanno votato l’area raccolgono più di 1/3 dei consensi.

    Lo stesso m5s è ambiguo nei contenuti, piace a tutti, ma a differenza del PD ha un tema comune che ha imposto culturalmente e tra le prioritá della gente: il rinnovamento. Sostanzialmente l’80% di chi ha votato m5s l’ha fatto per mandare a casa gli altri, non perché crede alla decrescita (e nel restante 20%, molti neanche sanno bene cosa sia la decrescita felice).

    Il PDL invece ha vinto culturalmente: la sinistra non è riuscita a spiegare, e forse tra chi va nei salotti tv neanche a pensare (a parte Vendola che vi ha accennato una volta), che abbassando tasse e servizi i poveri si impoveriscono, o che non sono importanti le tasse, ma il rapporto tasse/servizi ricevuti, uno dei fondamenti non solo dell’economia che dovremmo avere a riferimento (quella post-keynesiana), ma che ogni famiglia dovrebbe capire ai fini di tenere dietro al bilancio famigliare!

    La sinistra ha perso prima culturalmente che elettoralmente, e lo stesso “votare il simbolo” ha impedito a molti militanti del PD di vedere a suo tempo in SEL il cambiamento generazionale e politico a sinistra, che poi è stato sostituito dal cambiamento totalmente anti-sistema del m5s.

    Non parliamo poi della destra, che riesce a compattarsi (e neanche tanto) sotto alla figura di Berlusconi… ma attenzione che alla scomparsa di questo, molti andranno sul m5s, non sulla sinistra!

  10. Andrea says:

    In modo del tutto simile ai commenti precedenti, caro Enrico, vorrei approfondire, per quanto possibile, un aspetto che hai trattato molto sinteticamente ma con estrema puntualità. Il centro-destra ha stupito tutti coloro che lo avevano dato per “morto” (ma si, usiamo questo termine così in voga). Berlusconi, molto probabilmente, “ha vinto quanto basta”; nessuno si sarebbe mai aspettato un risultato così simile ad un pareggio. Tale raggiungimento, a mio parere il massimo ottenibile, è figlio di una campagna elettorale esasperata di cui discorrerò più avanti. Il PDL ha subito, ed i dati son piuttosto esplicativi, un’emorragia di preferenze piuttosto consistente, ma non mortale. La percentuale ottenuta, congiunta al flop di Monti e ai risultati vertiginosi del M5S, ha rimesso il Cavaliere in lizza per lo scranno. In aggiunta il PD non può più permettersi di basare la sua politica sull’antiberlusconismo e la minaccia più grande, quella di una salda alleanza tra il PD ed il M5S, è quantomai fatiscente. D’altra parte un fragile accordo tra i due succitati partiti risulterebbe oltremodo conveniente per il Cavaliere che, adagiandosi comodamente sui contrasti altrui, ha costruito la sua rimonta di “sopravvivenza”. Come hai giustamente detto, Enrico, la proposta pragmatica è DAVVERO piaciuta a coloro che non erano del tutto fidelizzati: la restituzione dell’IMU, il rilancio del ceto medio soffocato dal Professore e le questioni concernenti l’investimento pubblico hanno mosso le coscienze degli italiani;Berlusconi è riuscito a “parlare alle loro pance”. Vi faccio notare che non discuterò in questa sede della validità o meno di un programma simile, che, per una serie di ragioni, mi son trovato comunque a sposare. Altro sulla campagna? La rischiosa scelta di presentarsi nella più agguerrita arena mediatica del Servizio Pubblico si è rivelata vincente, così come l’idea fortuita dell’austero Monti di trasformarsi in un neo Berlusconi, dispensando pietose frecciatine, nella speranza di costruirsi un “carisma televisivo” per il quale, ahimè, mancavano persino le fondamenta. Un vero colpo di fortuna, sfruttato saggiamente.

    Per concludere, Berlusconi si è reso conto che quella “personalizzazione” era l’unica maniera per tenere in ordine le schiere del PDL. Il primo colpo di frusta è arrivato con l’annuncio della rinnovata candidatura che ha sopito le brame e lo slancio di Angelino Alfano, che non solo è tornato fedelmente in linea, ma si è fatto ancora una volta araldo del Cavaliere. Piccola nota su questo tema:l’organico del PDL è stato indiscutibilmente più attivo di quello del M5S in due declinazioni distinte. L’ambito locale, in primis, è figlio di una tradizione molto più burrascosa; le defezioni sono state molteplici ed hanno avuto il medesimo esito. Ogni slancio dal basso ha incontrato il “muro” degli alti dirigenti politici. L’altro aspetto riguarda il fatto che anche nelle alte sfere abbiamo assistito alla separazione di alcune frange (Meloni e La Russa in primis; una serie di tentativi di restaurazione identitaria che hanno avuto il solo esito di trasformare tali formazioni nella “ruota di scorta” del PDL. Un paio di paroline anche sulla Lega. Disse il carroccio: “mai più con Berlusconi”, o così mi pare di ricordare. Maroni però ha ben pensato di emulare Enrico IV; in fondo la Lombardia val bene una coalizione (e perdonatemi lo sprazzo d’umorismo). La scelta era chiara: il destino di Fini, o il PDL.

  11. Andrea Salvi says:

    Chiedo venia per aver omesso il cognome nel commento precedente.E’ stato un banale inconveniente informatico.

  12. Hagen says:

    A Gabriele Guaitoli… “Sostanzialmente l’80% di chi ha votato m5s l’ha fatto per mandare a casa gli altri, non perché crede alla decrescita (e nel restante 20%, molti neanche sanno bene cosa sia la decrescita felice)”; sì, ritengo che ci sia in questa affermazione molta verità; e del resto ho anche scritto che ritenevo che la gran forza di Grillo fosse stata proprio il radunare un grande elettorato non (non sempre) fidelizzato e molto scontento sotto la parola d’ordine del “Ragnarok” purificatore, a prescindere dalle (per così dire) “famiglie politiche”. Sul fatto che il rinnovamento a sinistra sia stato incarnato da SEL si può discutere, francamente non ho molta competenza per parlarne in quanto non conosco quasi nulla della storia di SEL. Tuttavia per mio modo di pensare ho difficoltà a vedere un rinnovamento sostanziale nella proposizione delle linee della sinistra classica. Continuo a pensare, nonostante tutto, che il vero rinnovamento nella Sinistra italiana sia stato il Partito Democratico, specialmente quello degli inizi, il “Partito del Lingotto”; certo, non riuscì nemmeno lui a vincere, ma fu senz’altro più premiato dall’elettorato di quello attuale. Spero che riusciremo a riacquistare un po’ di quello spirito, perchè c’era in effetti in esso uno spirito di apertura che avrebbe portato ad affrontare molto meglio i problemi da Lei esposti ad inizio risposta (nei quali comunque ritengo ci sia una linea d’esagerazione… ad esempio non ritengo affatto il PD un cartello elettorale; i cartelli elettorali sono ben altri, Partiti come il PdL o la Lista Ingroia, almeno a quanto è dato vedere da fuori)

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