LA SIRENETTA, LA CGIL E L’ARTICOLO 18 By MARIO ZACCHERINI

Il dopo Job Act presenta un’Italia sempre più disillusa ed incerta sul proprio futuro; quello che poteva essere un argomento catalizzatore dei problemi nazionali si è trasformato in un terreno di scontro ideologico che presenta, per motivi diversi, due vincitori (Renzi e la Cgil), ed un grande sconfitto (la classe lavoratrice italiana, in particolare i giovani).

Renzi vince perché, limando ulteriormente i diritti dei lavoratori, scimmiotta, raccogliendo simpatie in Confindustria e nel centro-destra, l’azione politica della Thatcher verso un neoliberismo economico che, paradosso dei paradossi, in Italia non potrà mai esplodere in quanto le prime barriere vengono poste proprio dal sistema che Renzi, ma anche Bersani o Berlusconi, rappresentano. Per essere chiari, nel sistema Italia, il rischio d’impresa per tanti colossi non esiste: l’azienda Autostrade, causa crisi, introita meno? Nessun problema, il Governo, o chi per lui, non pone ostacoli nel concedere aumenti tariffari ben oltre il tasso di inflazione (ormai deflazione). I consumi dell’acqua si sono ridotti ed Hera, o similari, incassano meno? Anche in questo caso nessun problema perché aumentando le tariffe gli utili non risentono della crisi.

Per non parlare della Cooperativa 29 maggio…immaginate cosa sarebbe accaduto nell’Inghilterra della Margaret? Sono certo che non lo immaginate, però, per fare un esempio, cito il caso della violenza negli stadi.

Nella grande isola la situazione, se possibile, era peggiore che nella nostra penisola, ma, in pochi anni il problema venne depotenziato e gli stadi tornarono luoghi ricettivi anche per le famiglie. In Italia? Bella domanda! Nel nostro paese i vari “Genny’a carogna” sono liberi di tenere sotto scacco 80mila spettatori.

Renzi è un ottimo comunicatore, ma deve ancora dimostrare di essere un abile innovatore. E’ quasi passato un anno dalla sua nomina ed i numeri, tutti,  non hanno invertito la tendenza verso l’abisso.

E l’Art.18? L’articolo 18 è una bufala che ha ridato uno scopo alla Cgil da tempo messa ai margini della discussione politico/sindacale. Essersi posta a paladina dei lavoratori dopo anni di silenzi e di connivenze con le politiche socialmente distruttive dei vecchi “padrini” del Partito Democratico (la Legge Fornero su tutte) sicuramente le ha giovato, ma temo si tratti di un giovamento simile all’accanimento terapeutico perché, nel terzo millennio, gli interessi dei lavoratori si portano avanti in direzioni e con modalità diverse.

Dal mio punto di vista Renzi e la Cgil sono due volti della stessa medaglia.

  1. Il Job Act trae spunto dal pensiero di Ichino che immagina di importare il metodo danese nelle patrie sponde. Bravo!
  2. Per importare un metodo le condizioni, nel paese destinatario, devono essere similari al paese preso a riferimento. Per esempio in Danimarca i ladri vanno in carcere e i politici non rubano (o non si viene a sapere). Non solo.
  3. La Danimarca non ha adottato l’Euro.
  4. La Danimarca ha un debito pubblico del 44.5% (dato 2013)
  5. Il 3% del Pil danese è destinato alla ricerca contro l’un percento abbondante dell’Italia.
  6. Due università danesi sono nelle prime 100 al mondo contro nessuna del bel paese.
  7. Spesa per l’istruzione in percentuale del Pil: Danimarca 7,8 … Svezia 6,6 … Italia 4,5 (2012)
  8. Secondo il Transparency International, la Danimarca, assieme alla Nuova Zelanda, è il paese meno corrotto del mondo. L’Italia è al sessantanovesimo posto davanti, quindi un po’ meno corrotta, a Romania, Bulgaria e Grecia.
  9. Come libertà di stampa la Danimarca è al settimo posto contro il quarantanovesimo dell’Italia.
  10. Il servizio sanitario è sostanzialmente gratuito per tutti i cittadini
  11. In Danimarca esiste il lavoro, esiste una domanda ancora forte, i lavoratori non vivono nel culto del posto fisso a vita, ed esiste di conseguenza un vero e proprio mercato del lavoro ben disciplinato dallo Stato. Quando utilizzo il termine lavoro, anche se non è scritto, lo intendo ad alto valore aggiunto.
  12. Come dimostrato le diversità sono enormi, in particolare le produzioni locali, essendo ad alto valore aggiunto, ben si prestano alla ricerca di personale qualificato ovviamente ben retribuito.
  13. In sintesi la Danimarca, nel suo piccolo, è un paese che può giocare con la divisa nazionale, è estremamente avanti tecnologicamente (poi vedremo il perché), il cittadino, pur altamente tassato, è seguito gratuitamente dallo Stato dalla nascita alla morte. Non esiste corruzione. Tutto bello? Assolutamente si, ma tutte cose che in Italia non esistono. Dimenticavo, in Danimarca è facile licenziare…ed è facilissimo ritrovare lavoro ed in ogni caso la disoccupazione non è un dramma. Tra parentesi, nei periodi di disoccupazione, lo Stato “adotta” il lavoratore e se del caso lo riqualifica mediante corsi formativi seri. Del modello danese importato in Italia l’unico punto inequivocabilmente attivato è la facilità di licenziare…..manca tutto il resto….manca il substrato economico e culturale che permette la cosiddetta flexicurity. Manca un sistema dove la legalità non è un concetto astratto e dove la ricerca ed il sapere vengono pesantemente “sponsorizzati” dallo Stato.

Un esempio su tutti per comprendere le differenze. Pare sia una storia vera. Un musicista da orchestra è coinvolto in un gravissimo incidente autostradale e come conseguenza perde un braccio. Ovviamente non è più in grado di lavorare. Non dimentichiamoci che la persona è danese per cui, dimesso dall’ospedale, viene retribuito in quanto disoccupato ed inserito in un percorso di recupero/riqualificazione al termine del quale da orchestrale si troverà trasformato in docente di musica ed inserito in un istituto scolastico.

La storia è bellissima in Danimarca, ma di difficile applicazione in Italia perché, nella migliore delle ipotesi, l’orchestrale non troverà spazi nella nostra scuola!

Tornando completamente in Italia è doveroso segnalare come certi passaggi offerti dai nostri politici siano francamente ridondanti “non vogliamo togliere diritti, ma aumentarli…” “le tutele crescenti” ecc ecc.

In realtà, già oggi, parlando di imprese ad alto valore aggiunto esistono le tutele crescenti. Prendiamo ad esempio un neo diplomato che entra in una impresa che richiede un alto valore aggiunto (alta professionalità) ai suoi lavoratori. Spesso il percorso consiste in un periodo di 3/6 mesi come lavoratore somministrato seguito da qualche anno come tempo determinato oppure in regime di apprendistato. L’approdo definitivo è il contratto a tempo indeterminato (fino a ieri comprensivo dell’Art.18)

A questo punto dobbiamo porci una domanda basilare: questo lavoratore è tutelato? Ovviamente si, ma non perché gode della copertura dell’Art.18 (se l’azienda andrà male anche il lavoratore seguirà lo stesso destino), la vera tutela è data dall’alta professionalità raggiunta (costata molto all’azienda) che agisce come un’assicurazione all’interno dell’azienda (se per costruire una professionalità occorrono anni è da pazzi pensare che l’imprenditore si “liberi” di tale ricchezza con facilità) e come un passaporto in caso di uscita.

La professionalità, il valore aggiunto delle imprese e dei lavoratori sono la vera ricchezza della Danimarca. Questi elementi hanno permesso la creazione di un ambiente dove la flexicurity agisce a tutela di tutti gli attori interessati.

Può sembrare banale, ma il vero punto sul quale è doveroso, se proprio dobbiamo parlare della Danimarca, aprire un dibattito è quello legato alla comprensione del perché uno Stato così piccolo vive, e non male, in un mondo di colossi. Perché le imprese hanno produzioni a tecnologie avanzate? I danesi sono più intelligenti degli italiani? Non credo! Sono più abili nei mestieri? Lo escludo! Lo Stato lavora per il bene comune e non è nelle mani di bande di politicante che invece di moltiplicare i pani moltiplicano i costi dei lavori pubblici per poter “foraggiare” le varie corti? Ne sono certo!!

PROBLEMA

A questo punto si pone un problema: se la tutela giuridica non garantisce più di tanto la tutela del posto di lavoro (fatta salva la norma che tutela i licenziamenti discriminatori, e non deve cambiare), in Danimarca di fatto non esiste, mentre esiste la tutela tecnologica, come si dovrebbero comportare i Sindacati davanti al problema?

Riformulo e sintetizzo la domanda: meglio una tutela formale che di fatto, davanti a crisi strutturali o pesanti ridimensionamenti non tutela un fico secco (tutto sommato una lotta di retrovia e di poca prospettiva) oppure una  battaglia che porti il paese verso condizioni simili a quelle danesi e quindi verso un sistema industriale, più corretto definirlo un sistema/paese, avanzato?

Vado oltre, arrivando alla pura provocazione: i Sindacati vogliono tornare alle mansioni originarie, abbandonate una trentina di anni fa, e contribuire alla rinascita di un sistema Italia oppure si accontentano di qualche comparsata sul cammino del lungo addio?

CGIL TRA PRESENTE E FUTURO

Due premesse obbligate: 1) citerò la Cgil in quanto iscritto Fiom (Cgil metalmeccanici) 2) sono convinto della necessità della presenza dei sindacati come rappresentanza del lavoratori, presenza che deve essere di alto profilo in quanto le vere tutele non nascono grazie all’inchiostro, ma all’interno delle politiche socio/industriali di un paese. 3) per avere un sindacato di alto profilo occorrono due caratteristiche fondamentali: a) competenze b) autonomia dagli organi statali e dai partiti.

L’esempio danese è emblematico perché dimostra come il bene del paese, non ne vorrà Ichino, Poletti e sodali, non è legato alla semplicità nel licenziare, ma alla conoscenza, all’onestà ed allo Stato sociale diffuso.

La conoscenza non si inventa, ma si costruisce investendo costantemente negli anni nelle scuole ed università. Se un paese con meno abitanti della Lombardia (poco più della metà) possiede due università tra le prime 100 al mondo significa essere nei primi piani della conoscenza planetaria, significa “avere tra le mani per primi” le grandi idee innovative, significa conoscere i segreti della tecnica e trasportarli nel mondo industriale.

La conoscenza rappresenta la base di ogni sistema/paese avanzato e il ranking delle migliori università mondiali sembra dimostrare il legame esistente tra conoscenza e vitalità dei paesi.

Di seguito la sintesi per paese con oggetto il numero di università, comprese nelle big 100, e tra parentesi il tasso di disoccupazione, senza dimenticare che anche paesi come Irlanda (11.1%), Finlandia (8.9%), Belgio (8.5%), Norvegia (3.7%) presentano almeno una università nelle migliori 100 al mondo:

Usa 28 (5.9%)

Gb 19 (5.9%)

Australia 9 (6.3%)

Olanda 6 (6.5%)

Cina/Honk Kong 6 (4.10%)

Canada 5 (6.6%)

Giappone 5 (3.6%)

Svizzera 4 (3.2%)

Germania 3 (5%)

Korea sud 3 (3.4%)

Danimarca 2 (6.5%)

Francia 2 (10.5%)

Svezia 2 (8.1%)

Dei grandi paesi industriali solo l’Italia (12.9%) non è presente nella speciale classifica dei big della conoscenza. Sarà un caso.

I dati sulla disoccupazione non rappresentano la media dell’anno 2014, ma sono tratti tra i mesi di agosto e novembre dalle seguenti fonti:

http://it.tradingeconomics.com/australia/unemployment-rate

http://ec.europa.eu/eurostat/tgm/table.do?tab=table&language=en&pcode=teilm020&tableSelection=1&plugin=1

Questi numeri, se vogliamo in maniera arida ed impietosa, evidenziano il legame, non casuale, tra cultura/conoscenza ed occupazione: i paesi che stanno uscendo dai big delle università sono gli stessi che pagano in maniera più pesante la crisi e, cosa ancora più grave, che faticano, pur in presenza di un mondo che gode di discreta salute, a rientrare nel circolo virtuoso economico.

I dati economici del pianeta ci segnalano come, anno dopo anno, l’azienda Italia si allontani sempre più dai primi della classe.

Situazione Mondiale

Chi legge potrebbe obiettare “facile scrivere queste cose, ma poi, rientrando nel mondo reale ci si scontra con la dura realtà della mancanza di risorse”.

Vero? Si, ma solo in parte!

Torniamo alla Danimarca: da una veloce lettura sembra che il paese non abbia una “doppia contabilità”, ovvero oggi, in Italia, se stanziamo le risorse per un’opera pubblica che costa x, tra corruzione diretta ed indiretta, il costo finale subirà un effetto moltiplicatore 1.y. Sperando, come abbiamo letto recentemente relativamente al viadotto Scorciavacche sulla Palermo-Agrigento che almeno l’opera “resti in piedi” a lavori ultimati.

Pare che il marcio in Danimarca sia stato ripulito da tempo e, temo, inviato in una discarica italiana.

Corruzione in Italia

Se in Italia i soldi pubblici che “ingrassano” mafia, malaffare e uomini di partito (tutti quelli che condividono il potere) venissero destinati alla scuola ed in particolare alle università si aprirebbero nuovi orizzonti per il paese. Se le risorse, che i vari Governi troveranno per il progetto Olimpiadi, fossero dirottare per ammodernare le infrastrutture potremmo ricominciare a seminare quel campo arido che si chiama futuro.

Forse la cifra di 60 miliardi annui, tra evasione e corruzione, è esagerata, ma se fossero anche “solo” 20 e tutti destinati alla formazione ed al welfare il nostro paese avrebbe un orizzonte luminoso.

In poche righe abbiamo già individuato due temi che dovrebbero stare a cuore alla Cgil e sui quali varrebbe la pena dare battaglia in maniera propositiva.

Se fossi la Camusso scriverei al Presidente del Consiglio “Caro Renzi, carissimo Poletti con il Vostro Job Act avete disciplinato il mercato del lavoro, bene adesso cominciamo a creare le fondamenta per costruire un paese nel quale il lavoro abbondi. Lotta durissima alla corruzione, investimenti feroci nella ricerca e pari opportunità per tutti i giovani perché vogliamo che benessere sia sinonimo di pari opportunità di partenza ed anche di qualità della vita (come in Danimarca, nulla di più).”

Chiarisco ulteriormente; una società di uguali non esiste e non esisterà mai perché per natura ogni uomo è diverso dall’altro. Però è anche vero che tutti “nasciamo uguali” ed uguali opportunità dobbiamo avere negli anni della formazione. Questo perché valorizzare il singolo significa valorizzare il paese. Non a caso i simpatici danesi permettono a tutti i figli di Amleto di studiare gratuitamente ed anche di ricevere un minimo di supporto economico.

Quello che in Italia viene chiamato costo, in Danimarca si definisce investimento.

Gli effetti della correlazione tra investimento (la spesa per l’istruzione rappresenta il 7.8% del Pil contro il nostro 4.5. Dati 2012) e corruzione (la Danimarca è il paese meno corrotto, assieme alla Nuova Zelanda, contro il 69mo posto italico) danno come risultato che la Danimarca è al primo posto come grado di benessere (Italia al 23mo posto). E visto che vogliamo essere cattivi aggiungiamo che nella speciale classifica della libertà di stampa la Sirenetta viene collocata al 7mo posto, mentre Pinocchio solo al 49mo.

Insomma due mondi opposti uniti solo dalla facilità di licenziare.

Credo, tornando alla Cgil, che le condizioni per innescare una rivoluzione culturale (pacifica) ci siano tutte, epperò il peso della storia, delle tradizioni e delle consuetudini si frappone alla modernizzazione del paese.

Se la Cgil si battesse per “danimarchizzare” la nostra penisola in pochi mesi avrebbe la maggioranza del paese dalla sua, ma per arrivare a tanto servirebbe a monte un’operazione di “bonifica culturale” straordinaria perché dovrebbe cambiare la “ragione sociale”.

Semplifico il ragionamento: se vogliamo distruggere il mostro che moltiplica i costi sociali e che amoreggia con il malaffare dobbiamo avere il coraggio di recidere il cordone ombellicale che ci lega al mostro. Non esiste alternativa!

Oggi, mi costa un po’ fatica ammetterlo, il percorso del sindacalista professionista presenta delle insidie che ne limitano il cammino e l’efficacia. Spesso l’approdo finale del sindacalista è quello del politico professionista con varie declinazioni: chi Parlamentare, chi Consigliere Regionale, chi Assessore ecc ecc, ovvero entra nelle fauci del mostro che sta distruggendo ed impoverendo il paese. Per questo motivo non sempre (quasi mai, diciamolo) la Cgil è in grado di portare avanti un progetto strutturato di lungo periodo: certo, se il mostro che governa in quel momento il paese non offre opportunità futuribili, la lotta è abbastanza intensa perché non esiste (o forse non esisteva…) cordone ombellicale, ma quando il paese/regione/comune è guidato dal tuo futuro, i toni si abbassano aiutando il mostro a diventare ancora più forte. In queste situazioni la Cgil ricorda molto i sindacati degli ex paesi del socialismo reale….

Non a caso la Riforma Fornero, ad esclusione della Fiom, non ha indignato più di tanto i vertici del sindacato del fu Di Vittorio, proprio perché, in quel preciso momento, il cordone ombellicale era ben presente. Stesso ragionamento sulla situazione scuola/ricerca/formazione; con certi mostri lotta dura, lotta tiepida quando il mostro cambiava maschera.

Un sindacato di questo tipo non serve perché non tutela il paese, le imprese ed i lavoratori; è una espressione sindacale “cinghia di trasmissione” del famoso mostro che giorno dopo giorno perde consenso tra i lavoratori ed all’interno della società.

Oggi il sindacato ha ragione di esistere a condizione che cambi la “ragione sociale”, ovvero diventi un soggetto che ambisce a costruire un ambiente sano di sviluppo per il paese e, centrato questo obiettivo, tuteli in maniera drastica i diritti dei lavoratori (non vogliamo il liberismo selvaggio). La Germania insegna!

Se cambia il mondo, se mutano le condizione ed i rapporti produttivi è ovvio che pure i sindacati devono mutare le strategie. Oggi, come ampiamente dimostrato, due variabili ci dividono e ci allontanano sempre dal primo mondo: la corruzione e l’investimento formativo. Risolvere questi problemi va ben oltre la lotta a favore del mantenimento dell’Art.18, perché significa estendere una tutela (quasi una garanzia) di prosperità a tutto il paese e a tutti i giovani che diventeranno uomini.

Questa deve essere la funzione primaria di un sindacato moderno, un’associazione che capisce che i danari estorti con il metodo 29 Giugno uccidono il futuro a tanti giovani, che l’Expò, il Mose, forse il caso San Lazzaro e le tantissime “ruberie”, che sintetizzo nel metodo Greganti, devono essere ferocemente combattute anche se il nemico potrebbe essere il tuo futuro.

I frutti di tale metodo impediscono al paese di risalire la china, di ridurre le imposte alle imprese ed ai lavoratori, di migliorare i trasporti ecc ecc.

Ricordo ai più giovani che il nostro paese, solo pochi decenni fa era il padrone della fisica mondiale (ci pensò il regime fascista a far fuggire gli ebrei negli Stati Uniti), della chimica, addirittura ai primi piani dell’informatica con Olivetti e la Fiat, sembra una barzelletta, costruiva e vendeva automobili in tutto il mondo. Avevamo eccellenze nella Nuova Pignone (ceduta al 70% alla General Electric), Fiat Ferroviaria e l’elenco potrebbe prolungarsi a lungo.

Avevamo anche Università che attiravano studenti da tutto il mondo…

Avevamo/abbiamo risorse storiche/monumentali uniche nel pianeta…epperò con la cultura non si mangia….

Concludo con un ulteriore stimolo: in un paese avanzato gli ultimi saranno sempre pochi perché, assieme al lavoro qualificato trovano sempre spazio le mansioni più umili…questo è il miglior articolo 18 possibile.

Alla Cgil decidere se diventare elemento di modernità o rimanere golosamente avvinghiato al cordone ombellicale e di ostacolo ai lavoratori.

Ps

Sono certo che qualche lettore potrebbe obiettare “caro Mario quasi tutti i paesi big appartengono alla cultura dell’etica protestante, mentre l’Italia è da sempre divisa tra cattolicesimo e bizantinismo”. Obiezione giusta, ma le cose cambiano ed in questo momento particolare, con l’attuale Papa, una lotta a favore della legalità e delle pari opportunità troverebbe appoggi anche nell’altra sponda del Tevere e, di conseguenza, pure nella cultura italica.

Infine una interessante testimonianza, del 2012, sull’universo Danimarca:

TESTIMONIANZA

Mario Zaccherini

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Filed Under: Diritti civili e libertà personaliFeatured

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RSSCommenti (6)

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  1. MANUEL CAICONTI says:

    Ho letto con attenzione, Mario, e come spesso accade mi trovo in sostanziale accordo con te. Solo ti contesto una esagerata benevolenza con il tuo sindacato, artefice in passato di quei disastri che hanno contribuito a dare mano libera, oggi, al giullare fiorentino.

  2. Paolo Ricci says:

    Ottima analisi Mario. Ed anche ottimi spunti di lavoro. La liturgia sindacale mostra la corda da tempo. Oltre ai paramenti non ha più nulla da mostrare.

  3. Mario Zaccherini says:

    Grazie Paolo, il sindacato, come la politica, deve diventare una espressione di Democrazia dal basso tendente sempre e comunque al bene comune.
    Il paese ha bisogno di sindacati preparati e pronti a battersi anche a muso duro contro tutte le variabili che danneggiano il popolo.
    Non è una questione di destra o sinistra, ma di giustizia sociale.
    Un sindacato, slegato dai partiti, avrebbe manifestato per mesi contro un sistema che vive gonfiando i lavori pubblici ed i costi li scarica sui pensionati/lavoratori aumentando l’Iva.
    Vergogna!!!
    Grazie anche a Manuel: Forse sono stato benevolo, però non posso dimenticare che all’interno della Cgil esiste la Fiom con la quale si può essere in accordo o in disaccordo, ma da qualsiasi prospettiva la si guardi trasuda di onestà intellettuale (la Fiom). Inoltre la base che conosco meglio, sempre quella della Fiom, è democratica e non asservita ai partiti. Come si dice “non buttare l’acqua sporca con il bambino”
    Mario

  4. Guerrino Frontali says:

    Mario oohh Marioooo ! Di che vai cianciando ? CGIL, FIOM, UIL mettiamoci pure la CISL. Acronimi e sigle vuote. Oggi sono viatici dorati per soddisfare gli appetitini di qualche ascaro gregario di qualche gregario politico. Un rapido giro d’orizzonte ne rende ragione. In parlamento siedono gli smemorati della CGIL, UIL, CISL (qualcuno rischia di diventare Presidente della Repubblica). Altri smemorati sono passati dalla direzione del Sindacato a quella della Lega Imolese (compatibilità’). Da Sindacalista si diviene Sindaco e anche, senti quello che Ti dico, Consigliere Regionale. In genere, oggi, i delegati sindacali sono riconosciuti come affermati panciafichisti, ben poco facenti, dalle RSU ai vertici nazionali. Sono d’accordo di riconoscere le lobby, certificarle. Bene, io sono petroliere, io sono palazzinaro, io sono liguleio, io sono media promoter, telefonaro, etc…, nessuno che chieda a questi panciafichisti che siedono sulle poltrone delle istituzioni che ricordino di essere sindacalisti. Esigo nelle istutzioni la lobby dei Sindacati ! Già ci sono. Purtroppo è vero che il materiale è debole, malfatto e puzza di topo morto. Ma se gli ex sindacalisti vanno a fare parte di altre lobbies per molti diventano due problemi: uno non avere un valido propugnatore del lavoro nelle sue declinazioni, due trovarlo agguerrito sulle barricate delle altre lobbies. Per maggiori informazioni citofonare Di Vittorio e Buozzi, Via Portella della Ginestra, 11 (il numero delle vittime) ROMA.

  5. Guerrino Frontali says:

    OOOOps…. fra i lobbysti ho dimenticato i multy-utilitaristi e coop-socialisti, potentissimi. Per parlare con loro ci vuole la maschera antigas che si rivelerà un trappola mortale perché il vomito lo devi reingurgitare e rischi il soffocamento. (è già successo)

  6. Mario Zaccherini says:

    Guerrino, cosa vuoi che ti dica?
    Concordo, avrai letto della coscienza di Cofferati che si è risvegliata in maniera impetuosa appena il malaffare gli ha bloccato i sogni di gloria?
    Povero Sergio, in questi anni non si era reso conto di nulla….poi…all’improvviso….
    Lasciami però la Fiom, mi sembra un esempio, come comportamento, degno di nota.

    Ps
    Hai notato che dopo aver fatto il compitino (sciopero) la Cgil non dice più nulla sulle porcate romane?
    Mario

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