Il marginalismo di Marini, Bindi & C. Articolo suggerito da Gabriele Zaniboni

Articolo tratto da www.qdrmagazine.it

I popolari ambivano ad esercitare un ruolo significativo nel Pd. In effetti almeno alcuni di essi avrebbero avuto la possibilità di esercitarlo perché, memori di un partito che nella logica della Prima Repubblica stava solidamente al centro ma muovendosi verso sinistra, avrebbero ben potuto nella Seconda coprire un ruolo di cerniera in un partito di sinistra rivolto verso gli elettori di centro.

Così non è stato perché essi hanno innanzitutto scelto la strada dei figli di un Dio minore. La massima ambizione in sede locale è stata quella di fare i vice-sindaci o i presidenti di provincia, quasi mai di fare i sindaci. Almeno su questo Renzi ha segnato una rottura.  A questo atteggiamento in sede locale ha fatto poi riscontro una corrispondente scelta tattica sul piano nazionale: i quattro gruppetti in cui si sono segmentati hanno cercato ciascuno un’intesa separata col centro burocratico degli ex-Pci per garantirsi ciascuno una filiera correntizia scissa però da un ruolo politico effettivo. Bindi e Letta prima delle scorse primarie, Franceschini e Fioroni dopo di esse.

A queste scelte strutturali (periferica e centrale) si sono poi accompagnate le scelte culturali con esse coerenti:

- sulle istituzioni politiche, anziché raccordarsi allo slancio riformatore della costituente, dove i Dc erano stati molto aperti, relativamente ai tempi, nel volere un governo istituzionalmente forte, fino all’accettazione dell’elezione diretta del presidente con Tosato, si è preferito scegliere la nostalgia regressiva dei comitati Dossetti, spesso ben al di là di quanto abbiano fatto gli eredi del Pci;

- sulla forma partito, anziché ricordarsi delle battaglie di De Mita e Andreatta  per una figura di segretario non primus inter pares tra i capi corrente,  i popolari continuano anche oggi, a danno di Bersani, a riproporre quella visione  indifendibile che segnò il declino Dc;

- sul rapporto tra politica ed economia, anziché seguire il magistero post Centesimus Annus centrato su poliarchia e sussidiarietà e l’eredità degasperiana e sturziana, si sono accodati alla polemica anti-liberista e vetero-socialdemocratica, tranne forse qualche episodico sussulto di Enrico Letta.

C’è quindi da stupirsi se a un certo punto Renzi abbia individuato un vuoto e lo abbia, con i suoi limiti, coperto, togliendo in periferia le basi di consenso a gruppi così conservatori, allineatisi col centro burocratico dell’ex-pci con esiti così estremi da risultare una zavorra persino per Bersani?

Vada come vada il risultato finale, alla fine la partita si giocherà tra Bersani e Renzi. E i popolari saranno ai margini, impegnati a conservare i vecchi schemi.

Giorgio Armillei. Ha studiato diritto e metodologia della ricerca sociale presso l’Università La Sapienza di Roma. Lavora come funzionario della Direzione generale del Comune di Terni. E’ uno dei moderatori di www.landino.it . Ha curato per il Mulino, con Silvia Angeletti, Poliarchia e bene comune.

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